Autore:  Giovan Battista Galizzi Data documento:  15/08/1957
Titolo:  Lettera del pittore Galizzi a Pio XII

 LETTERA INEDITA DEL PITTORE GIAMBATTISTA GALIZZI A PAPA PIO XII recentemente ritrovata in Bergamo (come la lettera di Adelaide Roncalli a Giovanni XXIII già pubblicata da Bergamo Sette)

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Bergamo 15 agosto 1957

Beatissimo Padre,
sono il pittore Giambattista Galizzi di Bergamo che ebbe la somma grazia di essere ricevuto da Vostra Santità in udienza privata il giorno 22 giugno scorso per offrirle in omaggio i volumi della Sacra Scrittura da me illustrati.
Mentre con animo sentitamente devoto e ancora profondamente commosso, ringrazio la Santità Vostra dell’indimenticabile udienza e dell’accettazione dell’omaggio, mi faccio premura di inviare quanto mi avevate richiesto sui fatti di Ghiaie di Bonate dei quali avevo osato parlare a Santità Vostra.
Faccio le mie più umili scuse se alcuni libri non sono in perfetto ordine perché non ve ne sono più in commercio e non mi fu possibile trovarne altri.
I libri che invio non rappresentano che un minimo di quanto fu stampato su quei fatti ; tuttavia sembrano i più significativi.
Oso ancora esprime alla Santità Vostra che quanto in udienza ho esposto in merito a questa causa, è il sentimento notissimo di parecchi Vescovi, di numerosissimi sacerdoti, di distinte personalità, di schiere di migliaia e migliaia di fedeli che da anni in disciplina e preghiera attendono una parola autorevole e delucidativa.
Ringrazio con profonda devozione la Santità Vostra di avermi dato questo ambito incarico, e mi prostro umilmente a esprimere tutta la mia figliale pietà.
Con profonda devozione
Giambattista Galizzi

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COMMENTO A CURA DELLO SCRITTORE GIUSEPPE ARNABOLDI RIVA

La Madonna incarcerata

Questa lettera inviata a Papa Pio XII da un bergamasco eccellente, Giambattista Galizzi, un grande pittore che ha accresciuto la fama di Bergamo per i suoi dipinti e le sue illustrazioni, rivela il grande e costante interesse del Papa per le apparizioni di Ghiaie
Galizzi, già notissimo pittore simbolista di fama europea, scrive a Sua Santità, non solo come artista religioso e appassionato assertore della verità delle apparizioni, ma anche come autore di una stupenda pala d’altare che raffigura l’immagine della Madonna apparsa alla piccola Adelaide; un quadro di grandi dimensioni da lui dipinto, su commissione di un importante canonico della cattedrale di Bergamo, monsignor Piccardi, proprio nei mesi immediatamente successivi a quegli eventi eccezionali.
In quei mesi estivi del 1944, col permesso del vescovo che aveva già offerto molti altri segni del proprio favore, la bimba, liberata dalla ferrea clausura voluta da don Cortesi, veniva condotta periodicamente nello studio di Galizzi dove il pittore l’aspettava per ascoltare con attenzione il suo racconto e scegliere, dal ricco complesso simbolico delle visioni ricevute da lei, un’immagine capace di riassumere il significato delle apparizioni. Durante questi incontri, la simpatia reciproca fra il pittore e la veggente crebbe tanto intensamente che, piano piano, come un ulteriore prodigio d’amore, la mano dell’artista, condotta dal racconto della stessa bimba, tradusse sulla tela quel meraviglioso regno di luce e d’amore dal quale la piccola era stata investita e rapita nel giorno di Pentecoste, allorquando la Madonna, vestita di rosso e ammantata di un lunghissimo velo verde, era apparsa con due colombi scuri stretti fra le mani. Durante quegli incontri la sincerità di Adelaide superò tutti i tranelli tentati da don Cortesi, sempre presente nello studio per farla cadere in contraddizione. E a nulla servirono alcune “astuzie” del pittore che, volendo verificare la verità del racconto della bimba, in attesa del suo arrivo, si divertiva ad inserire nel dipinto piccoli particolari frutto della propria immaginazione, ogni volta, però, rilevati con precisione e dispetto dalla stessa Adelaide.
Pio XII stimava questo finissimo artista bergamasco del quale apprezzava la profonda religiosità, e certo conosceva anche questa grande pala d’altare, almeno dalle riproduzioni riportate nei libri sulle apparizioni che lo stesso Galizzi gli ha procurato; il Papa conosceva dunque questa grande opera d’arte sacra destinata, fin dalla sua ideazione ad un grande e maestoso santuario che sarebbe sorto in terra bergamasca. E non è difficile supporre quanto il Pontefice dell’Immacolata avrebbe desiderato benedire egli stesso questa magnifica icona sacra non appena il vescovo di Bergamo avesse approvato le apparizioni. Purtroppo però i suoi occhi si chiusero senza poterla contemplare e benedire. Così come accadde in seguito anche al nostro beato Papa Giovanni XXIII, anch’egli convinto della verità delle apparizioni, ma tanto contrastato su questa tormentata vicenda. Alcuni preti curiali determinati a cancellare quei fatti straordinari e a recidere con violenza ogni possibilità che il Papa in persona stesso potesse esprimere il suo giudizio sulle stesse apparizioni, dopo aver demolito la piccola Adelaide, fecero di tutto perché anche la grandiosa tela di Galizzi venisse espropriata del suo valore, della sua destinazione e fosse per sempre dimenticata. Come accade ancora oggi.
Deprivata della sua sede naturale e affidata da monsignor Piccardi all’Istituto Sacra Famiglia di Martinengo la grandiosa pala del Galizzi rimane ancora “imprigionata” in una stanza di questo istituto e attende un difensore coraggioso capace di liberarla ed esporla all’ammirazione degli estimatori per essere finalmente collocata nel luogo sacro per il quale è stata realizzata. Anche perché, come sanno bene coloro che amano le icone, il valore di questa immagine sacra non risiede tanto nella indiscussa perizia artistica, ma nella trasparenza della realtà raffigurata : come una “porta regale” questo meraviglioso dipinto permette allo sguardo devoto di penetrare nel meraviglioso mondo di luce da essa aperto, oltre la sua materialità, verso quello stesso regno d’amore da cui è originato.
Incarcerata a Martinengo non è dunque soltanto una grandiosa opera d’arte, ma la nostra stessa Madre Immacolata. Rinchiudere questo quadro equivale a imprigionare la Madonna allontanandoLa dai fedeli.
E’ davvero triste constatare con quanta pervicacia, per tutelare ipocritamente un falso rispetto e negare a tutti i costi l’evidenza di errori umani storicamente comprensibili, i Suoi “carcerieri” nascondano a tutti questo dono della Grazia e soffochino continuamente la Misericordia.

La speranza di padre Murachelli

Pensando alle grandi speranze che questa magnifica pala d’altare ha nutrito, vorrei ricordare la memoria lasciata da un prete bresciano, padre Felice Murachelli, che, in fuga dalla violenza nazifascista, giunse a Ghiaie proprio nei giorni immediatamente successivi alle apparizioni quando ancora una folla enorme continuava ad inondare la terra bergamasca. Vedendo quella moltitudine sterminata che si riversava nella povera parrocchia di Ghiaie, questo sacerdote tanto devoto della Vergine Immacolata, senza indugio si era messo al servizio del parroco don Cesare e del curato don Italo Duci, insieme a loro impegnato giorno e notte a confortare gli ammalati, consigliare i sacerdoti, confessare i penitenti, celebrare e predicare.
“Vivessi mille anni non potrò mai più dimenticare quei giorni passati nella terra di Maria!” lascerà scritto padre Felice.
Il giorno in cui dovette partire da quella parrocchia tanto favorita dal Cielo, non riuscendo a staccarsi tanto repentinamente da quei luoghi, con gli occhi ancora pieni dell’enorme folla devota che aveva riempito per giorni e giorni tutta la piana bergamasca, si era fermato in Città Alta recandosi nello studio del pittore Galizzi per poter ammirare la grandiosa pala d’altare ormai terminata. Padre Felice ricorderà sempre con emozione quel momento in cui, accanto al pittore, di fronte a questa magnifica tela, un quadro grandioso che custodirà sempre con devozione nel suo cuore, non potendo frenare il suo sogno, aveva visto, riflessi in questa sacra icona, i giorni di un non lontano futuro, quando “milioni di persone ammireranno e si inginocchieranno dinanzi a questa Santa Immagine e invocheranno Maria” scorgendo in essa il simbolo dell’unità della famiglia, dell’umanità e della Chiesa nelle mani della Madonna.
In quel momento, tuttavia, al colmo della gioia, il povero sacerdote bresciano non poteva certo immaginare che questo grande dipinto, emblema della grande speranza nata nel suo cuore, era destinato a subire l’opera di sequestro di don Cortesi e del cerchio curiale complice attivo della sua azione violenta, dovendo seguire la stessa via dolorosa lungo la quale la stessa Adelaide stava camminando sotto i colpi di una barbara inquisizione.
Uscito dallo studio di Galizzi, padre Felice si era recato, quello stesso giorno, quale ultima tappa del suo pellegrinaggio, al collegio delle Orsoline per salutare la piccola Adelaide, potendo solo spiarla dalla finestra.
Era il mese di ottobre del 1944; ancora troppo presto per accorgersi del martirio che la bimba avrebbe dovuto subire, troppo presto per conoscere le umiliazioni, i soprusi, la terribile spoliazione che ella stava soffrendo. Dietro quella barriera sarebbe stato difficile pensare che per Adelaide era già cominciato un vera via della Croce e che, seguendo la sorte di Adelaide, anche il dipinto di Galizzi, da lui poco prima ammirato, sarebbe stato imprigionato come portatore di lebbra e considerato una vergogna per tutta la città di Bergamo.

Continua l'opera di spogliazione

Questa avversione tanto accanita nei confronti del dipinto di Galizzi, oltre a rivelare un altro dei numerosi tristissimi episodi di cui è costellata la storia delle apparizioni di Ghiaie, consente di mettere in evidenza una sottile e subdolo tentativo di snaturare le cose sacre annullandole o cambiando il loro significato, soprattutto se legate ad un’apparizione della Madonna.
Si ricordi ad esempio la furia distruttiva messa in atto contro Adelaide e le apparizioni dal cerchio curiale legato a don Cortesi, che, dopo l’inquisizione ed il processo farsa da loro condotto contro la piccola veggente, per paura della devozione popolare, pretesero immediatamente la spoliazione della cappelletta fatta erigere dal vescovo costringendo addirittura lo stesso vescovo a ordinare al parroco di Ghiaie di togliere dall’altare maggiore della chiesa la statua della Madonna di Lourdes, “perché quella statua proveniva da un luogo di apparizioni”. E senza alcun timore del ridicolo, manifestando un’intolleranza cieca e inquietante, continuarono imperterriti a disperdere ogni segno sacro legato all’apparizione. Così, anche in questi giorni, continuando l’opera di spoliazione cominciata sessant’anni or sono, intenzionato anch’egli a far terra bruciata attorno all’apparizione, l’attuale giovane parroco di Ghiaie ha iniziato una lenta, ma progressiva spoliazione di cose sacre cominciando a deprivare la stessa chiesa parrocchiale di molte immagini sacre. Questo giovane parroco, evidentemente preso da una forte febbre «riformatrice», ha messo mano anche alla cappelletta spogliandola di molte immagini sacre, e chiamato a render conto dei soldi lasciati dai fedeli ha voluto affiggere sul muro della cappelletta questo avviso inquietante : “le offerte raccolte sono devolute ai poveri”.
Questo menzognero ricorso ai poveri non è dunque altro che un ridicolo espediente per evitare ancora una volta di eseguire rettamente la volontà di Dio, della Madonna, Che certo più tutti amano i poveri, e Che, sulla poverissima terra di Ghiaie, hanno chiesto la costruzione di un grande santuario dedicato alla Regina della Famiglia per la chiesa universale e l’intera umanità! Un grande santuario al centro del quale sarà collocata finalmente la grande pala d’altare del pittore Galizzi per la devozione di milioni e milioni di pellegrini e per tutti i poveri del mondo che in ogni angolo della terra pregheranno la Regina della Famiglia apparsa a Ghiaie per chiedere l’unità e la pace, e invocare la Misericordia.
Giuseppe Arnaboldi Riva (Lecco, 29 giugno 2002)
Articolo pubblicato su Bergamo Sette / Cronache dell’Isola il 5 luglio 2002.

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Allegato   Data inserimento:  15/08/1957