Autore:  Vari Data documento:  06/06/1947
Titolo:  PROCESSO ALLE APPARIZIONI DI GHIAIE: VERBALE 4A SEDUTA (3A FASE)

 IL PROCESSO ALLE APPARIZIONI DI GHIAIE DEL 1944
TESTO INTEGRALE DEL VERBALE DELLE SEI FASI DEL PROCESSO DEL TRIBUNALE DIOCESANO DI BERGAMO

Le sei sedute del Tribunale furono così distribuite:
1) Interrogatorio di Adelaide Roncalli (21 Maggio 1947).
2) Interrogatorio di Suor Bernardetta e poi di Adelaide (23 Maggio 1947).
3) Viene intercalata una seduta senza interrogatori (2 Giugno 1947).
4) Interrogatorio di Suor Bernardetta e poi di Adelaide, poi confronto tra Adelaide e Don Cortesi (6 Giugno 1947);
5) Interrogatorio del Parroco di Ghiaie Don Cesare Vitali (9 Giugno 1947);
6) Interrogatorio di Don Italo Duci curato coadiutore di Ghiaie, poi di Nunziata Roncalli, poi di Suor Celestina Algeri (10 Giugno 1947).

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LA TERZA FASE DELLA QUARTA PARTE DEL PROCESSO:

L’INQUISITORE ALLA SBARRA


UNA SEDUTA FARSA
Ecco finalmente il momento tanto atteso dell’Inquisitore alla sbarra!
Chissà se Adelaide reggerà al confronto con il suo accusatore! Riuscirà la bambina a contraddire quel prete che lei desiderava tanto come padre, un prete che per estorcere ad ogni costo una negazione delle apparizioni, prima la vezzeggiò all’inverosimile e poi la ingannò, la terrorizzò, la traumatizzò con le paure dell’inferno e la minacciò di non vedere mai più la sua famiglia?

Senz’altro molti di voi si aspetteranno che l’inquisitore venga inchiodato alle sue responsabilità dalle gravi accuse nei suoi confronti contenute nelle relazioni di padre Gemelli e di mons. Bramini in possesso dei giudici! Chissà se i giudici chiederanno conto a don Cortesi del suo discutibile comportamento verso la bambina “poco consono per un’anima sacerdotale”? Qualcuno di loro avrà avuto il coraggio di esigere delle spiegazioni per le 200 intrusioni non autorizzate dal vescovo che l’inquisitore effettuò di giorno ma anche di sera inoltrata nei luoghi di segregazione della bambina? Il biglietto di ritrattazione strappato ad Adelaide, scritto senza testimoni e manomesso, sarà stato invalidato dai giudici? Quali esperimenti “disonesti” e “sacrileghi” l’inquisitore avrà eseguito sulla bambina (gli aggettivi “disonesti” e “sacrileghi” sono usati da don Cortesi nel suo libro ndr.)? Ed infine, qualcuno avrà chiesto a don Cortesi perché fece eseguire sulla bambina l’odiosa e offensiva visita alle “pudende” o parte intima. Che cosa centrava quella morbosa visita con le apparizioni della Madonna?

Purtroppo, queste domande rimarranno senza risposta al processo, visto che la maggioranza dei giudici era della cerchia dell’inquisitore! Fu dunque una seduta farsa, perché don Cortesi, scavalcando gli organi competenti in materia, nel 1945, due anni prima del processo e tre anni prima del decreto del suo Vescovo, si era già arrogato il potere di scrivere lui stesso la sentenza del “non consta delle apparizioni” e di chiudere PER SEMPRE uno degli episodi “più luttuosi che la storia umana registri”. L’affare Ghiaie doveva quindi essere chiuso in fretta e nelle strette mura di Bergamo. I giudici, avvalorando in pieno l’operato molto discutibile di don Cortesi avevano raggiunto l’obiettivo e ne divennero complici.

Povera Adelaide! Impaurita, plagiata e forse ancora vittima di quegli esperimenti “disonesti” e “sacrileghi” che il suo accusatore ed altri avevano eseguito su di lei, anche in questa seduta mantenne la parola data in confessionale a don Luigi Cortesi e cioè: negare sempre che poi sarebbe stata contenta. “Le parole di don Cortesi «Fai peccato ad affermare di aver visto la Madonna» mi dominarono. Dapprima tacqui, poi decisi di ripetere ciò che avevo imparato da don Cortesi, e perciò, dissi di non aver visto la Madonna”. E così fece ancora questa volta, per fuggire ad ogni costo da quel mondo infernale che l’aveva rapita dalla sua casa, dalla sua mamma, dai suoi affetti ed ottenere la libertà.
E alla fine della seduta, i giudici commisero un altro grave errore processuale perché lessero anche alla bambina, giuridicamente incapace, il verbale della seduta e glielo lo fecero firmare.

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VERBALE DELLA QUARTA SEDUTA DEL TRIBUNALE DIOCESANO
Per l’esame dei fatti di Ghiaie (Terza parte – Confronto di Adelaide con don Luigi Cortesi svoltosi il 06 giugno 1947)

TERZA PARTE DELLA QUARTA FASE DEL PROCESSO:
Verbale della seduta dei fatti di Ghiaie

Alle ore 11.05 entra don Cortesi che saluta cordialmente la bambina. Don Cortesi giura di dire la verità e di mantenere il segreto.
1) Dalla relazione di Mons. Bramini risulta che tu, così il giudice alla bambina, hai scritto la prima lettera al vescovo perché te l’ha detto don Cortesi. Mons. Merati legge della relazione di Sr Bernardetta a riguardo del fatto. “La bambina risponde perché l’ho voluto io.”
Don Cortesi aggiunge: effettivamente io avevo pregato la bambina di scrivere il segreto al vescovo. Lei era trincerata e con me non si sbottonava in quel tempo. Io le ho detto che scrivesse tale segreto che io l’avrei portato al vescovo e difatti lei lo ha scritto in busta chiusa e io l’ho consegnato con altri documenti.
La genesi della lettera di negazione del 15 sett. 1945 è questa: dal gennaio 1945 la bambina aveva cominciato a buttar fuori e adagio adagio aveva sconfessato tutto a distanza di tempo. Una sconfessione cumulativa avvenne a Ranzanico verso la fine del Luglio. Allora perché la faccenda non pesasse più sulla sua psicologia le ho detto che scrivesse un biglietto in cui esprimesse il suo pensiero sulle apparizioni e poi non ne avremmo parlato più. E ho aggiunto che per scontare le marachelle avesse a dire ogni giorno un’Ave Maria. Sono perplesso sulla opportunità del suggerimento, ma l’ho esortata a ciò per ragioni di educazione morale.
La lettera la scrisse quando noi siamo tornati a Bergamo da Ranzanico. La scrisse a pian terreno nella casa delle Orsoline presenti soltanto io e lei. Sr Rosaria ha portato la carta: una lettera intiera doppia (e la bambina ricorda che il sofà su cui era seduto don Cortesi era verde e il pavimento rosso). Poi sr. Rosaria è uscita. Io mi sono fermato sul sofà e la bambina ha scritto; a me chiedeva se si scriveva con l’h o senza acca, con un -g- o con due e io dicevo. La bambina buttava fuori espressioni tipo bergamasco chiedendomi come si scriveva in italiano e io rispondevo secondo le regole della buona grammatica.
La bambina spiega che la lettera era sul foglio doppio e aveva macchiato un foglio, l’ha riscritto macchiando anche il secondo.
Don Cortesi chiarisce: non credo l’abbia rifatta completamente: forse aveva incominciato a scrivere.”
Mons. Merati chiede: “questa lettera di negazione l’hai scritta per far piacere a don Cortesi o perché conteneva la verità?” La bambina risponde: “Perché era la verità”.
E perché, chiede, Mons. Cavadini, dicevi anche a don Cortesi tante bugie. “Le dicevo spontaneamente.”
Letta la deposizione ai due testi si firmano:
Don Cortesi – Adelaide Roncalli.
La seduta è tolta alle 12.10

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COMMENTO

IL PARERE DI GIUSEPPE ARNABOLDI RIVA
Il confronto fra don Cortesi e Adelaide è servito a nascondere quello fra don Cortesi e padre Gemelli. Per comprendere la gravità di questo confronto e le gravi ripercussioni che avrà basta citare quanto di sprezzante scrisse don Cortesi all’assistente di padre Gemelli, la prof.ssa Sidlauskaite: “È strano che qui a Bergamo nel luogo dei fatti avvenga sempre il contrario ci ciò che voi sentenziate a Milano … i vostri giudizi arrivano sempre in ritardo quando il pranzo è pronto e perciò si trova sempre una fogliolina di prezzemolo che ci disgusta nel piatto preparato da altri anche perché non fu preparato da noi…”

In questa seduta la piccola Adelaide è costretta a subire, per quasi due ore, non solo un altro angosciante interrogatorio, ma anche, addirittura, un dolorosissimo confronto col suo inquisitore-tormentatore, don Cortesi.
Il corpo minato da maltrattamenti e umiliazioni, l’anima sconvolta da terrori spaventosi inoculati per tre lunghi anni dalle suore e dallo stesso inquisitore, priva di alcun sostegno morale ed affettivo, e soprattutto privata un’altra volta del suo difensore monsignor Bramini, la piccola Adelaide, ormai sfibrata, viene posta completamente in balia del suo accusatore e dei giudici che l’hanno già condannata.


Tuttavia, proprio l’istituzione di questo confronto palesemente immorale ed ineguale, permette di vedere con chiarezza, non solo la totale parzialità di quei giudici tutti favorevoli a don Cortesi e decisi a concludere la sua azione demolitrice, ma anche un disegno preordinato di una parte della Curia bergamasca di quel tempo che ha prevaricato la stessa autorità episcopale sostenendo perfino il contrasto scatenato da don Cortesi contro lo stesso esperto del vescovo, padre Gemelli, il quale, com’è noto, ha decisamente sconfessato, in una lettera allo stesso vescovo, la totale incompetenza di don Cortesi e la sua condotta pericolosamente avventurosa.
Il confronto ineguale fra don Cortesi e Adelaide dunque serve soprattutto ad eludere e allontanare quello reale e paritario dal quale don Cortesi sarebbe certo uscito perdente e colpevole: il confronto con l’esperto del vescovo, padre Gemelli (omissione quest’ultima, rivelatrice dell’esistenza nel 1948, in Curia, di un potere antagonista allo stesso vescovo).

b) La testimonianza di don Cortesi rivela il suo disprezzo verso Adelaide e il potere senza limiti concessogli dalla Curia.
Coloro che non conoscessero il pensiero di don Cortesi e non avessero approfondito la sua relazione intensa e conflittuale con Adelaide durata ben 16 mesi, potrebbero comunque riflettere su due espressioni verbali assai grossolane per una persona colta e gentile come lui, mediante le quali però, egli intende implicitamente ribadire ai giudici la natura cattiva di Adelaide, e giustificare altresì la confessione sacramentale alla quale egli ha costretto la bambina. I due verbi sono: buttare fuori e sbottonare.
Precisando che don Cortesi, quale raffinato cultore del linguaggio, usava ogni parola, non solo con piena consapevolezza, ma soprattutto in perfetta consonanza di senso con i concetti espressi, sapendo bene inoltre che il linguaggio esprime l’interiorità della persona, quando, in relazione alla confessione di Adelaide, egli dice: “Dal gennaio 1945 la bambina aveva cominciato a buttar fuori “ e più avanti “ La bambina buttava fuori espressioni di tipo bergamasco”, si può facilmente capire che il verbo “buttare fuori” è usato da lui per indicare che Adelaide aveva qualcosa dentro da espellere o vomitare.
Per don Cortesi, infatti, Adelaide è una creatura repellente, “un nodo di vipere, uno scrigno chiuso custodito da sette draghi”; Adelaide è dominata dal peccato che deve “buttar fuori” insieme alla sua condizione di ignoranza e povertà per essere totalmente “rinverginata”.

L’altro verbo, curioso davvero, usato dal prete bergamasco è: sbottonare. “Lei era trincerata e con me non si sbottonava in quel tempo” afferma don Cortesi nella sua testimonianza a proposito della lettera scritta da Adelaide per il vescovo. Don Cortesi sapeva bene che “sbottonare” significa aprire il proprio abito e mostrare l’interiorità; per questo, poiché l’abito è il velo dell’interiorità, usando un verbo tanto ambiguo, don Cortesi, oltre che riaffermare la radice maligna della bimba, intende alludere ad una certa facilità di costume e al carattere lascivo di Adelaide. Con questo verbo don Cortesi intende infatti ricordare la “bramosia del frutto proibito” dalla quale Adelaide era dominata quale figlia di “un padre ubriacone”, come egli stesso aveva scritto nel suo libro, che, ricordiamo, i giudici hanno fatto proprio usandolo per gli interrogatori. Un giudizio frutto di una cultura aberrante che ha portato don Cortesi addirittura a favorire la visita ginecologica di Adelaide, una visita impudica e violenta condotta il 5 luglio 1944, dal medico occultista Ferdinando Cazzamalli nel convento di Gandino delle suore Orsoline, per verificare la verginità della bimba!

Con il riferimento a Ranzanico infine (“Una sconfessione cumulativa avvenne a Ranzanico verso la fine del luglio”) don Cortesi vuol spingere i giudici a condividere quanto egli stesso racconta sfrontatamente nel suo libro a proposito dell’ambiguo rapporto stabilito con Adelaide proprio nel convento delle Orsoline e dunque mostrare l’enorme potere che gli era stato concesso di condizionare e sedurre Adelaide ad ogni costo.
Chiunque infatti, voglia leggere il racconto dello stesso don Cortesi in relazione alla presunta confessione di Ranzanico, nel suo libro Il problema delle apparizioni di Ghiaie, leggerà ad esempio frasi come questa: “Ranzanico, 23 luglio, ore 22,30. Siamo bucolicamente sdraiati nel praticello in faccia al lago sottostante che si trastulla silenziosamente con la luna e con le stelle. La conversazione sfarfalleggia da un argomento all’altro. Ma mi è facile condurla al momento buono dove voglio. La fermo sulle paure del buio…” E’ un racconto allucinante quello di don Cortesi, ma i giudici non gli chiederanno conto di nulla, e tanto meno cercheranno di accertare se avesse avuto il permesso dal vescovo di fare quegli interrogatori notturni (sdraiato su di un prato con la bimba per ottenere in modo seduttivo la sua confidenza) in condizioni davvero poco consone ad un prete.

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IL PARERE DI MONS. BRAMINI, DIFENSORE DELLE APPARIZIONI

Nella prima parte della relazione di mons. Bramini del 6 febbraio 1947 alla Commissione Vescovile di Bergamo si legge quanto segue:

“… Circa l’opera del Cortesi considerata nel suo complesso generale si tenga presente quanto egli stesso scrive intorno alle origini, gli sviluppi e il compimento di essa in “Storia dei fatti di Ghiaie” (a pag. 130 – 131). Ivi egli “confessa”:
- di aver partecipato intimamente ai fatti di Ghiaie “senza un incarico speciale; ma solo per scopi di studio personale”;
- di aver anzi violato interessandosene “un espresso divieto generale del Vescovo”;
- di essersi avvalso di un ringraziamento del Vescovo per informazioni oralmente fornitegli da lui per farne “un permesso sottaciuto”;
- di avere in base a questo presunto permesso sottaciuto infranto la disposizione vescovile speciale che aveva prescritto l’assoluto isolamento della bambina Roncalli, determinando da parte sua “quei lunghi contatti con la bambina” che “erano lunghi furti quotidiani”;
- di aver ritenuto che, dal 27 maggio 1944 in poi, tutto fosse stato “legalizzato”…

Nessuna autorità avrebbe mai potuto approvare tutto quello che egli ha fatto nei riguardi della bambina Roncalli, quando la sottoponeva a lunghi interrogatori e ad esperimenti non sempre commendevoli, a prove di assai discutibile saggezza, prudenza, e pedagogia, quando la coccolava, la abbracciava e baciava e si lasciava da lei baciare, quando la cumulava di regali anche vistosissimi, quando la visitava ad ogni ora del giorno e della sera avanzata, quando la fotografava e faceva fotografare in tutte le pose e in tutte le fogge di vestire, come fosse una diva del cinema (e di ciò fa fede il copioso, troppo copioso documentario fotografico in atti), quando la faceva visitare da questo o da quello, nonostante la disposizione dell’isolamento. C’è poi a questo proposito nel Diario del vescovo, sotto la data del 29 maggio una interessante noticina: “Do istruzione a Don Cortesi che non si faccia vedere come un direttore dei movimenti, per togliere pretesto all’osservazione fatta da qualche confratello che ora che si è cercato di togliere la bambina alla suggestione dei famigliari, sono i sacerdoti che sembrano suggestionarla”.

L’opera del Cortesi fu un misto di atti illeciti e di atti illegittimi, gli uni e gli altri perfettamente privi di ogni valore giuridico… La quasi totalità delle testimonianze concorda nel ritenere che il Cortesi era inidoneo all’opera assuntasi, non solo per la sua troppo giovane età, ma anche per la mancanza di quella serietà, prudenza, ponderazione, distinta pietà, che si richiedono per lavori del genere; per la mancanza di coerenza, di stabilità, che in un primo tempo fece di lui un assertore affrettato ed entusiasta dell’autenticità dei fatti, e in un secondo, immediatamente successivo al primo, ne fece un assertore deciso e cinico della negazione di essa, un propagandista feroce della presunta menzogna della bimba Roncalli, un demolitore accanito della pietà dei pellegrini da lui pubblicamente affrontati sul luogo delle apparizioni con tanta acredine da dichiarare pazzo chiunque credesse ancora alla realtà delle apparizioni di Ghiaie. Si cita anche il particolare della sua insistenza del giugno – luglio 1944 perché sul luogo delle apparizioni si costruisse una cappella, nonostante che il clero locale fosse di avviso che la cosa era prematura, e delle sue violente affermazioni successive di volerla distruggere ad ogni costo, disposto a farlo personalmente se nessun altro l’avesse fatto, a colpi di piccone. E tutto ciò mentre la Commissione Ecclesiastica non aveva fatto alcun pronunciamento intorno ai fatti tuttora in esame…
Molte testimonianze accusano il Cortesi di poca sincerità, asserendo che egli ha presso molti negato ciò che poi ha affermato nei suoi scritti, come il trattamento di eccessiva dimestichezza usato con la bambina e il fatto di averne ascoltato talvolta la confessione. E concludono: “Come si può prestar fede ad un uomo che non si rivela sincero?”
Altre lo accusano, oltre che di imprudenza anche di scorrettezza per avere egli divulgato le sue relazioni stampate che dovevano invece rimanere segrete, e ciò - dicono – con scandalo dei buoni, con gioia dei malvagi, e con detrimento del prestigio della Commissione Ecclesiastica e del suo futuro verdetto, qualunque esso potesse essere.

Si denunciano ancora a suo carico i sistemi da lui seguiti nel raccogliere le testimonianze, Egli non assumeva e non volle mai assumere, nonostante i ripetuti inviti, le sue informazioni dai membri della commissione di vigilanza locale, ma andava a raccoglierle da donniciuole, da ragazzi e da ragazze, da testi di cui ignorava l’attendibilità o meno; che le assumeva quasi dimostrando di barattarle con regali di vestiti, di sigarette e di altro genere; che alcuni membri della commissione locale, quali il sig. Gerosa e il sig. Verri, si dimisero per questo e per il fatto che egli non rendeva alla commissione ragione alcuna dei prelievi di somme che di quando in quando faceva, mentre in quel campo amministrativo particolarmente la commissione aveva le sue precise responsabilità.

Ci sono sacerdoti e laici che dichiarano di non aver voluto dare al Cortesi neppure una riga intorno ai fatti e su cose di cui erano testimoni diretti, perché non ritenevano meritevoli di fiducia i sistemi che vedevano seguiti da lui nel raccogliere le testimonianze. Altri gli rimproverano di aver raccolto testimonianze che gli venivano offerte. È comunque provato che egli non si curò mai, nonostante ripetuti inviti, di ritirare dal parroco Vitali un incarto, nel quale figuravano dati diversi di guarigioni segnalate, che poi la commissione medica dichiarò negative unicamente perché prive di dati sufficienti. Altri avanzano dubbi seri che egli abbia tenuto conto di documenti vari, dei quali non appare cenno nella sua storia.

Quasi tutte le testimonianze rimproverano al Cortesi di aver sempre agito da solo e senza controllo di alcuno, né del clero locale, perché egli raccoglieva le testimonianze fuori dalla casa parrocchiale e di preferenza quando sapeva il clero locale impegnato nelle funzioni parrocchiali festive; con i testimoni trattò sempre da solo a solo, senza la presenza di altri testi qualificati e senza mai chiedere a chi gliele poteva dare informazioni circa l’attendibilità o meno dei testi che egli interrogava; risulta del resto che anche con la bambina Roncalli egli trattò sempre da solo, sia quando la interrogava, sia quando pargoleggiava con lei, sia quando ella affermava la realtà delle apparizioni, sia quando la negava. Così che è lui solo che riferisce quanto ella ha detto prima e quanto ha detto poi. Egli è solo a garantire l’autenticità, la spontaneità, la libertà della pseudoritrattazione della bimba.

Molti lo accusano di aver lasciato avvicinare la bambina solamente da chi pareva e piaceva a lui, e di aver impedito ad altri che a lui non garbavano di avvicinarla.

Tutti sono unanimi nel deplorare la sua dimestichezza e famigliarità nel trattare la bimba, la sua ingiustificabile sconsigliatezza nell’averne ascoltato le confessioni, la sua inesauribile larghezza nel farle regali anche vistosi. Molti gli rimproverano intenzioni di fare sulla bambina esperimenti delicati (egli pure ne parla nel terzo volume a pagina 23) che non erano onesti.

Taluni poi affermano che, avendolo talvolta invitato a tenere sermoncini ai fanciulli, egli si ebbe sempre a rifiutare dicendo che non sapeva adattarsi alla mentalità dei piccoli, per rimproverargli di aver avuto la presunzione di assumersi il compito di trattare e di interrogare la bambina.

Molti ancora rimproverano a D. Cortesi di aver monopolizzato tutto ciò che si riferiva ai fatti di Ghiaie, senza che nessuno potesse avere da lui notizie di sorta, attribuendo poi a questo suo modo di fare dei secondi fini.

Moltissimi gli fanno l’appunto di non avere mai sentito il bisogno di chiedere lumi e consigli a persone mature e illuminate, mentre egli era tanto giovane ed inesperto in un opera di questo genere...
Concludendo, s’impone una domanda: dopo tutto questo non si ha il diritto e anche il dovere di limitare la fiducia all’opera del Cortesi ed anche di sollevare intorno ad essa l’eccezione di sospetto?


GESTI SCONVENIENTI PER UN’ANIMA SACERDOTALE
Da un biglietto manoscritto (non datato) di Adelaide Roncalli, inedito, trovato nascosto tra la terzultima e la penultima pagina bianca di uno dei suoi diari sulle Apparizioni del 1944, si legge quanto segue:
“Certamente Don cortesi nel suo modo d’agire, poco serio, avrà avuto qualche santa intenzione, ma è pur vero che ripensando io al passato, non mi posso trattenere dal credere, che certi gesti fatti verso di me bambina ignorante, troppo familiari e affetuosi fossero sconvenienti ad un’anima Sacerdotale.”

Si è trascritto il testo con gli errori e la punteggiatura dell’originale.
Nel biglietto ci sono dure correzioni di Adelaide:
1) All’inizio Adelaide ha cancellato l’espressione “Egli avrà agito” che ha corretto con “Don cortesi nel suo modo d’agire”.
2) Più avanti nel testo, ha cancellato la parola “azioni” che ha corretto con la parola “gesti”.

A chi era indirizzato quel biglietto? Che cosa Adelaide intendeva dire con quelle parole? Perché ha nascosto quel biglietto, scritto di suo pugno, tra le ultime pagine bianche del suo diario? Si lascia ad altri e agli esperti il compito di interpretare le affermazioni di Adelaide.

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CONCLUSIONI
In questa storia è assai probabile che la veggente Adelaide e le tante persone (con maggiori o minori responsabilità) siano cadute nelle trame del “cupo genio del male” (o burattinaio che fosse). Altrimenti che significato avrebbero le parole confessione di don Cortesi “Alla Vergine Maria, al mio venerato Vescovo e a tutti coloro che si interessano ai fatti di Ghiaie, umilmente chiedo venia per tutto quello che feci e non dovevo fare, che non feci e dovevo fare, che feci e feci male…” (cfr. “Il problema delle apparizioni di Ghiaie” pag. 230)?

Non dimentichiamo di ricordare anche don Cortesi nelle nostre preghiere. Ora, che conosce la verità, potrà anche lui aiutarci.
Alberto Lombardoni

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Fonti:
- Fonti private e riservate.
- Curia di Lodi - Incartamento di Mons. Bramini.
- Curia di Bergamo - Incartamento del processo.
- Don Luigi Cortesi - “Il problema delle apparizioni di Ghiaie” – SESA 1945
- Altre fonti citate nel testo.
- Articolo pubblicato
sulla rivista SENAPA numero 6, anno 2004

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Allegato   Data inserimento:  06/06/1947