Autore:  Vari Data documento:  13/05/1960
Titolo:  Il giallo delle lettere di Adelaide al Papa

 IL GIALLO DELLE LETTERE DI ADELAIDE AL PAPA


Sommario:
1) Il commento introduttivo a cura del prof. Alberto Lombardoni.
2) La trascrizione dell’intervento di Padre Angelo Maria Tentori a Radio Maria,
venerdì 3 marzo 2006, in risposta agli articoli di don Marino Bertocchi.
3) Le minute del 1959 di una lettera di Adelaide rivolta al Papa
e il relativo commento del prof. Alberto Lombardoni.
4) Il carteggio riferito alla lettera di Adelaide al Papa del 13 maggio 1960.
a) Il commento introduttivo del prof. Alberto Lombardoni.
b) La prima busta.
c) La lettera accompagnatoria del card. Gustavo Testa.
d) La seconda busta con l’importante annotazione interrogativa del Papa.
e) Il testo della lettera del 13 maggio 1960 di Adelaide Roncalli al Papa.
f) L’articolo di don Marino Bertocchi pubblicato dalla rivista
“Amici del Beato Papa Giovanni” n. 1 di gennaio/febbraio 2006.
5) Il parere del prof. Alberto Lombardoni sulla lettera e sulle minute.
6) Il parere dello scrittore Giuseppe Arnaboldi Riva sulla lettera e sulle minute.
7) Il commento dello scrittore Giuseppe Arnaboldi Riva in seguito all’affermazione
dell’articolista che Adelaide “non fu mai perseguita”.

================================================

1) COMMENTO INTRODUTTIVO A CURA DEL PROF. ALBERTO LOMBARDONI

RIFERIMENTO:

- Articolo del 31 gennaio 2006 del Giornale di Merate intitolato “Il parroco trova la «vera» lettera di Adelaide”, con tra l’altro un sottotitolo “Non venne mai perseguitata”.
Nell’articolo ci sono le fotografie delle tre pagine della lettera autografa di Adelaide a Papa Giovanni, del 13 maggio 1960, materiale consegnato dal parroco di Sotto il Monte, don Marino Bertocchi. Manca, chissà perché, qualsiasi riferimento all’inquietante annotazione autografa interrogativa “Scritta da lei?”, apposta personalmente dal Papa su una delle buste.

- Articolo sulla rivista “Amici del Beato Papa Giovanni” n. 1 gennaio/febbraio che pubblica le foto di tre pagine autografe della lettera di Adelaide, le foto delle due buste di cui una con le annotazioni autografe del Papa, e la foto della lettera accompagnatoria del card. Gustavo Testa.

- Articoli del 21 febbraio 2006, del Giornale di Merate, il primo intitolato “Le lettere di Adelaide a Papa Giovanni diventano un caso”, e il secondo “Il libro di Giuseppe Arnaboldi Riva tratta delle persecuzioni che la giovane ha subito”. Viene pubblicata una parte della risposta del prof. Alberto Lombardoni e solo un brevissimo stralcio della risposta dello scrittore Giuseppe Arnaboldi Riva.

- Articolo del 28 febbraio 2006 del Giornale di Merate intitolato “Altro colpo di scena sulla lettera di Adelaide Roncalli”, dopo che il parroco di Sotto il Monte ha consegnato in tutta fretta al giornale, una copia di una minuta manoscritta (minuta di una lettera del 1959 per intenderci) che secondo lui sarebbe falsa.

IN SINTESI PER ESSERE PIÙ CHIARI:

Due lettere, due carteggi, due periodi diversi in discussione.

1) Quella pubblicata da don Marino Bertocchi, originale manoscritto di Adelaide Roncalli, datata 13 maggio 1960, la cui autenticità è però messa in dubbio dallo stesso Papa Giovanni con l’annotazione scritta di suo pugno: “Scritta da lei?”.

2) Le minute del 1959 (le prime e non le successive ancora inedite) che sono state rese pubbliche fino ad ora e cioè: la prima pagina di una minuta manoscritta con correzioni e la prima pagina di una minuta dattiloscritta anch’essa con correzioni. Rimane riservato, il carteggio delle fasi successive che verrà reso pubblico a tempo debito.


COMMENTO:

Ho letto con molta attenzione l’articolo pubblicato il 31 gennaio 2006 dal Giornale di Merate riguardante la “clamorosa” scoperta (che poi clamorosa non è) che ha fatto don Marino Bertocchi della lettera inviata da Adelaide Roncalli a Papa Giovanni, il 13 maggio 1960 da Ghiaie di Bonate, lettera che si discosta, secondo don Bertocchi, dal contenuto della bozza della lettera pubblicata da Bergamo Sette il 7 giugno 2002.
Di nuovo, a fine febbraio 2006, don Bertocchi, credendo di fare un’altro scoop, si è rivolto precipitosamente al Giornale di Merate (vedi articolo del 28 febbraio 2006) per far pubblicare la copia di una minuta manoscritta (che possiedo anch’io tra l’incartamento di quelle bozze) avuta da un altro sacerdote, intimandomi di fare un passo indietro.

Credeva forse don Marino di fare la scoperta del secolo e di aver trovato la prova inconfutabile che la munita pubblicata nel 2002 era un falso, e che l’unica e vera lettera di Adelaide rivolta a Papa Giovanni fosse quella del 13 maggio 1960, pubblicata da lui e solo quella?

Ma sarei stato così ingenuo, nel 2002, a lasciare pubblicare a “Bergamo Sette” il testo di una di quelle bozze, se avessi avuto il minimo dubbio che non fosse veritiero?

Se don Bertocchi crede che tutto si riduca ad una minuta manoscritta e ad una prima minuta dattiloscritta, si sbaglia di grosso. Fortunatamente, a parte quelle minute, rimangono nel cassetto, per ora, le altre minute e i documenti che comprovano l’iter della stesura di quella lettera. I precipitosi interventi di don Marino, hanno inaspettatamente scosso il muro di omertà e di silenzio che regnava sul fronte, e qualcuno si è fatto avanti, arricchendo quel carteggio con altro materiale molto interessante su quelle bozze e anche sull’operato di don Luigi Cortesi che pubblicherò a tempo debito.

Ritornando alla lettera manoscritta di Adelaide, del 13 maggio 1960, pubblicata
da don Marino Bertocchi, mi chiedo che grado di attendibilità abbia quel documento, sia pure autografo, se Papa Giovanni, che non era uno sprovveduto, ha apposto su una delle buste l’annotazione interrogativa “Lettera di Adelaide Roncalli 13 maggio 1960 [scritta da lei?]” mettendo in dubbio l’autenticità di quella lettera inviata per posta a mons. Capovilla dal card. G. Testa il 27 maggio 1960 (cfr. pag. 5 della rivista).

Ma guarda caso, il Giornale di Merate, nell’articolo del 31 gennaio 2006, non fa il minimo cenno a quell’importantissima annotazione di Papa Giovanni. Ed è strano che un appunto così rilevante sia sfuggito all’articolista che, consultato da me telefonicamente il 03 marzo 2006, è sembrato non essere al corrente dell’esistenza di quell’annotazione. Fu una svista dell’articolista o don Marino Bertocchi si dimenticò di segnalare questo particolare mentre invece pubblicò tutto l’incartamento sulla rivista “Amici del Beato Papa Giovanni”?
È chiaro che se fossimo usciti allo scoperto con tutta la documentazione che riguarda l’incartamento di quelle “bozze”, qualcuno non avrebbe fatto il passo falso nel rendere pubblico l’originale del manoscritto del 13 maggio 1960, e noi non avremmo mai avuto il piacere di leggerne il contenuto e capire fino a che punto certi ecclesiastici, “favorevoli” e “non favorevoli” alla causa di Ghiaie, siano riusciti a condizionare ed ad impedire ad Adelaide di far partecipe il Papa di tutto il suo calvario. Ora sappiamo ufficialmente che almeno una versione, “filtrata” ed “epurata” di tutto quello che non doveva essere detto al Papa, era giunta nelle mani del pontefice. Il quadro è molto più chiaro!

Quindi il “giallo” continua ma, per ora, è prematuro svelarne tutti i retroscena e soddisfare la curiosità di qualche tenace oppositore alla causa di Ghiaie.
Se mai, lo scoop lo farà qualcun altro. Aspetto prima che parli colui che sa, ed è tuttora vivente, e spieghi pubblicamente perché fu impedito ad Adelaide Roncalli d’incontrare Papa Giovanni. Si preparano quindi altri colpi di scena!

Non so quale titolo abbia don Marino, “noto nell’osteggiare tutto ciò che riguarda i Fatti di Ghiaie”, per chiedermi di fare “un passo indietro”. Ognuno ha le sue informazioni, le sue fonti riservate e, per quanto mi riguarda, non pubblico mai nulla prima di averne controllato scrupolosamente l’autenticità e l’attendibilità e, in questo caso, so benissimo da dove proviene il materiale che ho finora pubblicato e quello che è ancora in mio possesso sull’argomento.


Prioritario, non è formalizzarsi e polemizzare all’infinito su alcuni atti puramente formali, ma piuttosto riparare i gravi torti, i soprusi, le umiliazioni, le violenze e i maltrattamenti subiti da Adelaide, la veggente di Ghiaie. Basterebbe “voler” leggere il libro “Adelaide speranza e perdono” dello scrittore G. Arnaboldi Riva o consultare le rubriche del mio sito per rendersene conto. Comunque se quanto pubblicato non basta a dimostrarlo, c’è altro materiale, ben più convincente da divulgare!

Non si può cambiare la Storia, per salvare l’onorabilità dell’inquisitore don Luigi Cortesi a scapito dell’innocenza e dell’integrità di una bambina, colpevole soltanto di aver visto la Madonna e di aver ritrattato in seguito “alle minacce, alle paure dell’inferno fattele da qualcuno”.

Che Adelaide “non venne mai perseguitata”, come sottotitola l’articolo del 31 gennaio 2006 apparso sul “Giornale di Merate”, è una vergognosa menzogna, un insulto
alla dignità e all’onore di quella bambina martoriata che merita una risposta ferma.

È troppo facile leggere solo qua e là, senza documentarsi bene, e cercare il pelo nell’uovo per poter sostenere la tesi precostituita dell’inquisitore don Luigi Cortesi e affermare che tutto è falso. Consiglierei a tutti di leggere attentamente il libro “Il problema delle apparizioni di Ghiaie” di don Cortesi, consultabile tra l’altro anche alla biblioteca civica di Bergamo, per provare vergogna per gli insulti e le calunnie rivolti ad Adelaide e alla sua famiglia.

Perché non leggere attentamente gli incartamenti e i verbali del processo “farsa” alla piccola veggente? Ma forse, a don Marino Bertocchi non conviene farlo poiché, quale Giudice regionale e Giudice del Tribunale Ecclesiastico Diocesano, dovrebbe ammettere che il processo ad Adelaide è nullo dalle prime battute perché si fa giurare, s’interroga, si processa e si fa addirittura firmare una bambina di 10 anni, da sola, senza difensore! Inoltre dovrebbe riconoscere che la “sentenza” era già stata scritta e resa pubblica da don Luigi Cortesi nel 1945, due anni prima del processo (cfr. pagina 230 del libro di don Cortesi in mano ai giudici).
E tra l’altro, proprio a quella pagina, don Cortesi scrisse che “l’episodio si chiude per sempre, come uno dei più luttuosi che la storia umana registri”. Vorrei tanto che qualcuno mi spiegasse il senso di quest’allucinante affermazione di don Luigi Cortesi, perché non ho trovato traccia nei libri di storia di una tale immane tragedia.

Forse, per coloro che non credono nelle Apparizioni di Ghiaie, è sempre meglio non conoscere la realtà per non affrontarla. A certuni non conviene proprio inoltrarsi in argomenti tanto scottanti, perché ci farebbero brutta figura. Conviene loro non vedere, per potersi sempre giustificare con la risposta “Ma io non lo sapevo!”. E quante volte l’ho dovuta sentire quella frase sul Caso Ghiaie!
Alberto Lombardoni

============================================================

2) TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO DI PADRE ANGELO MARIA TENTORI
A RADIO MARIA, VENERDÌ 3 MARZO 2006, IN RISPOSTA AGLI ARTICOLI
DI DON MARINO BERTOCCHI

Trascrizione dell’intervento di Padre Angelo Maria Tentori, a Radio Maria, durante la trasmissione di Mariologia, venerdì 03 marzo 2006, ore 18.45.
In risposta agli articoli di don Marino Bertocchi, parroco di Sotto il Monte.

“… Dobbiamo fare alcune precisazioni per rispondere brevemente ad alcune perplessità che mi hanno manifestato alcune persone dopo aver letto due articoli apparsi, l’uno sul “Giornale di Merate” e l’altro sul foglietto “Amici del Beato Papa Giovanni”, nei quali l’articolista mette in dubbio l’autenticità della bozza della lettera scritta da Adelaide al Papa, cioè stiamo parlando delle Apparizioni di Ghiaie di Bonate, quindi da Adelaide Roncalli la veggente. L’occasione di queste affermazioni è offerta dall’articolista perché era venuto, ed è venuto in possesso della lettera autentica pervenuta a Papa Giovanni l’anno successivo a quella appunto che noi abbiamo letto, lettera autentica fornitagli da mons. Loris Capovilla, segretario del Papa. È una lettera molto breve rispetto a quella che abbiamo letto noi tempo fa. L’articolista è don Marino Bertocchi, parroco di Sotto il Monte, già noto per l’impegno nell’osteggiare ciò che riguarda i fatti di Ghiaie e quindi sempre alla ricerca di possibili appigli a cui aggrapparsi per negare l’autenticità delle apparizioni. Ciò che sconcerta in lui, è l’evidente mancanza di conoscenza dei documenti almeno di quelli più importanti sulla questione delle Apparizioni a Ghiaie di Bonate, inoltre e anche per la sua cronica imperizia nel leggere e interpretare i documenti di cui viene in possesso. C’eravamo già accorti di questo quando don Marino riportò alcuni documenti scritti dal beato Ildefonso Schuster.
Ed ora, dopo questi due articoli ne abbiamo un’ulteriore conferma. Pubblicando la lettera di Adelaide pervenuta a Papa Giovanni, diversa per brevità da quella che anche noi abbiamo letto ai microfoni di questa radio tempo fa, don Marino ha subito concluso con due affermazioni: una è “due lettere molto diverse” e poi quella ancora più sconcertante “Adelaide non venne mai perseguitata”. Nel foglietto “Amici del Beato Papa Giovanni”, campeggia questo titolo “Ghiaie, è questa la vera lettera che ha scritto Adelaide al Papa”. Ad un qualsiasi lettore attento, il titolo appare subito come tendenzioso o per lo meno equivoco. Infatti, sembrerebbe che quella lettera ricevuta nel 1960 da Papa Giovanni sia sicuramente l’unica e quindi la vera, scritta da Adelaide, per cui eventuali altre lettere non pervenutegli siano false. Ci sembra che sarebbe stata metodologicamente più appropriata la seguente dicitura: “Questa è la lettera di Adelaide Roncalli che è pervenuta a Papa Giovanni nel 1960”. Infatti, don Marino basandosi solo su quella lettera, mette in dubbio tutto ciò che viene scritto nella bozza che noi chiameremo “prima lettera” scritta da Adelaide nel 1959 e pubblicata da varie fonti nel 2002. Questa prima lettera non fu mai fatta pervenire al Papa per misteriosi motivi.

Che a Papa Giovanni sia ufficialmente pervenuta soltanto quella lettera che viene pubblicata ora, non esclude il fatto che la veggente ne abbia scritta un’altra prima, più dettagliata e in tono più personale e proprio per questo bloccata come di solito avviene in queste circostanze. Non ha senso negare alcune affermazioni della prima lettera per il semplice fatto che non vengono riportate nella seconda, quella ufficiale pervenuta al Papa l’anno seguente, cosa che invece contro ogni logica, contro ogni onestà e metodo, fa don Marino. In altre parole non si può negare l’autenticità della prima semplicemente perché non è uguale e conforme con quella pervenuta al Papa. A parte il fatto che sostanzialmente non si contraddicono, tutti sanno che le bozze o minute, come si vogliono chiamare, sono quelle che maggiormente esprimono l’autenticità e la spontaneità dello scrivente e sono quelle più ricercate e di maggior valore. Metodologicamente gli studiosi ricorrono ad esse per interpretare e completare il pensiero espresso in una lettera ufficiale che quasi sempre risente di un lavoro di cesellatura, di correzioni, di soppressione di frasi, di attenuazioni, di timori e a volte anche di contorsioni diplomatiche dove si dice e non si dice. Diciamo questo perché è proprio il caso che risalta dal confronto con le due lettere di Adelaide. Infatti, quella pervenuta al Papa, appare manifestamente purgata, ritoccata, abbreviata, che sorvola alcuni fatti personali, diremmo perfino dettata da qualcuno, mentre la prima, la famosa bozza, appare nella sua spontaneità, semplicità, con problemi di coscienza personali. Tra l’altro, per chi conosce il bergamasco, o meglio a chi conosce il bergamasco, appare subito evidente che alcune espressioni italiane messe nella lettera sono la traduzione letterale dal bergamasco, cosa questa che avvalora ulteriormente l’autenticità della lettera [la bozza s’intende] stessa.
Comunque siamo grati a don Marino per aver messo in risalto l‘annotazione interrogativa autografa posta da Papa Giovanni alla lettera. Questa annotazione dice: “Scritta da lei?” con punto interrogativo. Siamo tutti infatti d’accordo con Papa Giovanni, che ingenuo non era, che dopo aver letto quella lettera dubitò che fosse stata proprio Adelaide a scriverla. Sì certo è autografa nella scrittura, ma nel contenuto? Probabilmente don Marino non ha riflettuto su quel punto di domanda del Papa, altrimenti avrebbe scritto diversamente i suoi articoli. Che Papa Giovanni se ne fosse accorto, lo dimostra il fatto che due mesi dopo scrivendo a mons. Battaglia sull’argomento, diceva: “Ciò che vale in «subiecta materia» è la testimonianza della veggente: e la fondatezza di quanto ancora asserisce a 21 anni ed in conformità alla sua prima asserzione a 7 anni: e ritirata in seguito alle minacce, alle paure dell'inferno fattele da qualcuno. Mi pare” – continua il Papa – “che insista quel terrore di quelle minacce.”
Allora come fa don Marino ad asserire che Adelaide non fu perseguita. Ma conosce la storia di questa vicenda? E quando Adelaide parla di “calvario” lui che cosa intende? Un festival canoro? Davvero il pregiudizio falsa la percezione e la realtà storica.
Quanto poi ad alcune affermazioni della prima lettera [la bozza s’intende] ho avuto modo di appurarne personalmente l’autenticità, avendo incontrato alcune colleghe di lavoro di Adelaide quando era infermiera al Policlinico di Milano.

Termino dicendo: piuttosto desidereremmo sapere da chi sa e che è tuttora vivente, perché ad Adelaide recatasi a Roma per parlare con il Papa, le fu impedito?

Vorremmo sapere anche ciò che sta dietro una lettera manoscritta del 10 aprile 1959, che Adelaide inviò al suo parroco di allora don Italo Duci, nella quale scrive testualmente: “Come Lei desiderava è stato fatto. Ossia quiete e silenzio, dal Santo Padre non ci siamo andati.” Che cosa vuol dire quel “quiete” e “silenzio”? Perché? Da chi?

Ma perché non parla chi sa tutto questo, e tante altre cose?
Perché si ha ancora paura dopo tanti anni di dire la verità?
Non si può salvare l’onore di qualcuno, lasciando il fango delle calunnie su altri, innocente….

---------------------

Pochi minuti dopo, in risposta ad una telefonata, Padre Tentori ritornando sull’argomento aggiunge:
“…Quello che riveste importanza è questo: voler negare i fatti. Questo non lo si può, non lo si deve fare, perché questo fa male, soprattutto quando è un sacerdote che lo fa. Uno si domanda “ma che, non trova di meglio da fare che scompaginare le anime semplici con certi interpretazioni che non stanno in piedi. Ecco, cerchiamo appunto… io ho fatto questo intervento perché alcune persone mi hanno chiamato, mi hanno detto “Ma, allora la prima, la lettera che voi avete letto a Radio Maria ecc., allora non era la vera, non è l’autentica?” Ma come non era vera? Come non è autentica? Anzi è più autentica quella, della seconda che è addirittura striminzita, si vede che proprio poverina la bambina lì, ha dovuto scrivere soltanto alcune cose. Come ho detto, voi sapete benissimo che le minute, le bozze anche dei Papi quando fanno appunto certe encicliche, sono più preziose, sono più ricercate dell’esposizione finale, perché proprio lì si vede di getto quello che il Papa o la persona che scrive, sente, che dopo deve limare, che dopo deve correggere, che poi deve togliere per non urtare, per non offendere. Ora che uno mi venga a dire che la seconda lettera quella pervenuta al Papa mette in discussione ciò che c’è nella prima, è ridicolo. Quella che ha più valore è la prima, non la seconda e, faccio l’appunto, lo stesso Papa Giovanni, che non era stupido, anche se alcuni lo prendevano per sempliciotto, in realtà non lo era, era molto furbo, e lui stesso commentò questa lettera con questa frase “Ma l’ha scritta lei?”, più chiaro di così! Cioè lui aveva capito benissimo e di fatti lui sapeva le cose da altre fonti o da qualche altra lettera scritta precedentemente che quella lettera non era della bambina, cioè era grande allora quando scrisse, non era della veggente, non nel senso autografo ma nel senso del contenuto, cioè lei era stata appunto passata attraverso tante griglie, tanti vagli, e il fatto che poi le sia stato proibito di andare dal Papa, di vedere il Papa, questo è gravissimo. E ripeto, c’è chi sa, ed è tuttora vivente chi l’ha impedito. Che parlino!

=============================================================

3) LE MINUTE DEL 1959 DI UNA LETTERA DI ADELAIDE RIVOLTA AL PAPA
E IL RELATIVO COMMENTO INTRODUTTIVO DEL PROF. ALBERTO LOMBARDONI

COMMENTO INTRODUTTIVO

Nel 2002, una devota alla Madonna delle Ghiaie di Bonate metteva a disposizione degli studiosi dei documenti e in particolare delle bozze, non datate, manoscritte (prima minuta) e dattiloscritte (seconda minuta) della lettera che Adelaide Roncalli avrebbe inviato a Papa Giovanni XXIII, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Quelle bozze sarebbe appartenute ad una nobildonna bergamasca che le aveva custodite, per anni, con altri preziosi documenti e fotografie, in ricordo della veggente Adelaide Roncalli da lei ospitata più volte in quel periodo (di sicuro negli anni 1959 e 1960).

Dopo aver esaminato quei documenti e fatti i dovuti riscontri, per scrupolo, prima di pubblicare le minute della lettera di Adelaide, mi rivolsi ben tre volte a mons. Loris Capovilla, segretario di Papa Giovanni, per avere un suo parere su quelle bozze, chiedendogli anche di poterle datare e confrontarle con una copia del documento originale pervenuto al Papa.
“Sì, Adelaide ha scritto sicuramente!” rispose prontamente mons. Capovilla, aggiungendo però che avrebbe dovuto consultare le sue carte per indicarmi esattamente la data della lettera e come giunse in Vaticano. “Non mi ricorderò di tante cose”, mi disse, “ma questa me la ricordo bene”. Alla mia richiesta di poter avere una copia dell’originale per confrontare i due testi, aggiunse: “Temo che la lettera sia andata a finire in Segreteria di Stato”. Gli chiesi ancora di rassicurarci sul contenuto delle bozze che stavano per essere pubblicate e ancora una volta mi rispose “Di questo sono sicuro. Credo anche che, non so se lei [cioè Adelaide] o mons. Battaglia, avessero chiesto un’udienza ma purtroppo, né Battaglia né nella lettera della ragazza, ci era stato detto che era andata in udienza da Pio decimo secondo, altrimenti il Papa l’avrebbe ricevuta anche lui… Senza bisogno di consultare niente è sicuro che l’abbia scritta.”, parole testuali di mons. Capovilla.
Successivamente, mi confermò che aveva fatto delle ricerche nelle sue carte e che la lettera era datata “13 maggio 1960”. Aggiunse anche che non fu spedita tramite i canali ufficiali, “ma fu consegnata al card. Testa che la recapitò a mano il 27 maggio 1960”. Mi disse che purtroppo non era in grado di rintracciare l’originale. Mi confidò anche altri particolari sul Caso Ghiaie che, per intanto, per riservatezza, non diffonderò. Di tutto conservo un pro-memoria molto preciso su quei colloqui.

Voglio chiarire, a don Marino, che fu il sottoscritto, per serietà professionale, a chiedere all’articolista di “Bergamo Sette” di esprimersi al condizionale nell’articolo del 07 giugno 2002, visto che si trattava di bozze, non ancora datate.

In seguito, anche se Mons. Capovilla mi aveva rassicurato sull’autenticità del contenuto di quelle minute e le aveva datate 13 maggio 1960, non avendo potuto consultare l’originale, continuai a specificare nei miei numerosi interventi che si trattava delle “prime bozze” di una lettera di Adelaide Roncalli rivolta a Papa Giovanni .

Ero convinto comunque che, un giorno, qualcuno avrebbe finalmente “tirato fuori”
l’originale e per questo devo ringraziare don Marino Bertocchi, oppositore delle Apparizioni di Ghiaie di Bonate, per aver pubblicato l’incartamento relativo alla lettera ufficiale che Adelaide Roncalli ha scritto a Papa Giovanni il 13 maggio 1960. Il Papa l’ha certamente letta perché vi ha apposto, di suo pugno, l’annotazione interrogativa: “Scritta da Lei?”, mettendone in dubbio lo stile e il contenuto.

Però, vorrei porre una domanda a mons. Capovilla. Perché nel 2002, non mi diede le giuste informazioni e non mi procurò la copia della lettera di Adelaide di cui invece era in possesso?

Mi chiedo ancora perché ci sono voluti quattro anni prima che qualcuno si facesse vivo per contestare quei documenti, visto che il testo delle bozze era stato pubblicato da varie fonti nel 2002, ed era facilmente consultabile via internet.

Fortunatamente, come ho già specificato, oltre alle minute manoscritte e dattiloscritte, esiste altra documentazione riservata che divulgherò a tempo debito, che promette altri colpi di scena.

Che Adelaide fosse stata più volte ospite di una nobildonna di Bergamo nel 1959, non vi sono oramai più dubbi in merito (ci sono persino le prove fotografiche). In un pro-memoria della signora Carolina Finazzi Falsetti si legge che quest’ultima incontrò proprio Adelaide a Ranica (Bergamo), nel giardino della villa di quella nobildonna, nel 1959.

È anche accertato che nel marzo 1959, quando Adelaide si recò a Roma per assistere all’Ordinazione di Padre Candido (avvenuta il 19 marzo 1959), qualcuno “invitò” Adelaide a tacere e a non recarsi in Vaticano. Lo attesta una lettera manoscritta del 10 aprile 1959 che Adelaide inviò all’allora parroco di Ghiaie don Italo Duci nella quale scrisse testualmente: “come Lei desiderava, è stato fatto. Ossia tutta quiete e silenzio, dal Santo Padre non ci siamo andati…”
Inoltre, nella testimonianza dell’11 febbraio1973, della signora Elsa Bertuetti, amica dell’allora card. Roncalli, si legge che Papa Giovanni avrebbe “espresso il desiderio di vedere Adelaide Roncalli. La ragazza andò a Roma, ma Mons. Capovilla non le rilasciò il placet e dovette ritornarsene a Bergamo senza vederlo.”

Potrei continuare, ma svelerei tutti i retroscena … va fatto a tempo debito.
Prima però, qualcuno, ancora vivente, deve spiegare perché ad Adelaide, non fu rilasciato il “placet” per un’udienza da Papa Giovanni.

--------------------------------------------------------
TESTO DELLA BOZZA DELLA LETTERA STESA NEL 1959

Milano… (manca la data)

Beatissimo Padre, chi osa mandare questa lettera è l’ultima delle vostre figlie, che ora mai non ha, come ultimo scampo che il vostro immenso cuore di padre.
Sono Adelaide Roncalli del Torchio di Ghiaie di Bonate, quella figliola che bambina di sette anni, nel maggio 1944 vide tredici volte la Madonna, più volte però con S. Giuseppe e Gesù Bambino e da cui sentii quelle cose che scrissi e che ho ancora vive nel cuore.
Dico che ho visto perché io in coscienza sento proprio così e darei la mia vita per confermare questa mia convinzione.
Anche in quell’anno 1944 io ero certa di aver visto la Madonna, ma dopo, quando mi interrogarono i sacerdoti incaricati dal vescovo e mi fecero giurare, prima dissi di sì e poi di no, perché avevo paura di fare un grosso peccato mortale affermando di aver visto la madonna.
Durante i giorni dell’apparizione mi portarono via dalla mia casa e dai miei genitori, dalle suore Orsoline in via Masone. Là veniva solo don Cortesi e mi seguiva sempre una suora da lui scelta a vigilarmi.
Un po’ alla volta egli mi andava persuadendo che io avevo visto colla fantasia appena l’apparizione, mentre in realtà fuori dai miei occhi non c’era stato niente.
Anche don Cortesi diceva allora che aveva visto anche lui di queste visioni della Santa Famiglia, ma non si era mai sognato di dire di aver avuto delle apparizioni.
Anche tanti altri – continuava a dirmi – hanno gli stessi fenomeni di fantasia, ma se ne guardano bene di dire di aver avuto delle apparizioni..
Ero dalle suore Orsoline in via Masone, don Cortesi un po’ alla volta mi persuase che io facevo un grosso peccato mortale a dire di aver visto la Madonna perché era stata tutta una mia fantasia.
Facevo fatica ad ammettere questo, ma mi faceva tanta paura di andare all’inferno che scrissi un biglietto come voleva don Cortesi per dire che io avevo fatto una bugia a dire che avevo visto la Madonna.
Dentro nel mio cuore però io sentivo che l’avevo proprio vista e lo dicevo ancora, ma poi avevo paura di aver fatto peccato e andavo a confessarmi.
Anche quando andai in collegio dalle suore francesi in Città Alta, io ero sempre in questo stato d’animo e là, quando i sacerdoti incaricati dal vescovo mi fecero giurare per domandarmi se avevo visto la Madonna, prima dissi di si e narrai come l’avevo vista, ma poi per paura di aver fatto peccato dissi che non l’avevo vista.
Dopo andai un po’ a casa ma poi mi portò via una signorina di Milano, per un po’, di anni, ma ho sofferto tanto allora.
Poi entrai dalle Sacramentine di Bergamo e io ero tutta contenta perché mi facevo suora come mi aveva detto la Madonna, ma facevo solo la postulante, perché monsignor Bernareggi non voleva che diventassi suora.
Quando egli morì io ero a Lavagna nella diocesi di Lodi. Monsignor Benedetti allora permise che facessi la vestizione, ma poi venne là monsignor Merati che, a nome della santa sede – diceva – mi fece svestire e ordinò di uscire dal convento.
Io non so poi il motivo perché fecero questo. Tornai nel mondo e andai a lavorare un po’ da una parte e un po’ dall’altra per vivere e aiutare i miei che dal tempo delle apparizioni vedevo solo ogni tanto. Quanto mi costò stare tanto lontano da loro, dalla mia casa, dal mio paese, sin da piccolina un po’ in mano di tutti!
A contar tutto sarebbe troppo lunga.
Anche spiritualmente non avevo mai trovato un direttore spirituale, perché poi avevo sempre paura, dopo quello che mi era capitato. Solo un po’ tardi ebbi la fortuna di confidarmi con un buon Padre e potei ritrovare la pace piena.
Il passato con tante alternative di sì e di no, di verità e di peccato era cessato. Solo mi rimase l’amaro rimorso di aver negato la Madonna e di aver così impedito il riconoscimento della Sua Apparizione.
Se in quegli anni però io non avessi avuto paura di fare peccato a dire che l’avevo vista, non l’avrei certo negata a costo di qualunque sacrificio.
Ora Beatissimo Padre mi sento più sollevata per aver versato nel vostro animo un po’ della mia storia che poteva essere tutta bella ma che invece io feci brutta e che mi fece soffrire tanto in tutti i modi. Perdonatemi Padre Santo per quello che ho fatto negando la Madonna. Non l’ho proprio fatto apposta, chiedo il vostro perdono, come non mi stanco di chiederlo a Gesù e a Maria.
Voi che potete tutto, fate rivedere la storia delle apparizioni di Ghiaie di Bonate ve lo chiedo per la Madonna.
Io lo so ci farò una brutta figura; non importa. Basta che trionfi la Madonna.
Voi solo potete far questo. Forse è stata la Madonna a volervi Papa, perché della terra di Bergamo, [cosicché] possiate rivendicare la sua apparizione nella Bergamasca.
E ancora una supplica: lasciate che quanti amano e continuano a credere alla Madonna possano andare liberamente sul luogo delle apparizioni. Sono quindici anni che la gente ci va, ma c’è anche la proibizione.
E per me Santo Padre non ci sarà un segno di misericordia e di perdono ?
Sballottata dalla mia infanzia ad ora, un po’ da ogni parte, mi sono portata nel cuore, sotto nome diverso da quello del mio battesimo, il ricordo vivo dell’Apparizione, il rimorso di averla negata e il desiderio di tornare ad essere Sacramentina. Ma non me lo hanno più permesso. Da anni sono qui infermiera al Policlinico di Milano e aspetto ancora, aspetto sempre che si compia il desiderio della Madonna su me. O sarà un’attesa vana?
Dite una parola Beatissimo Padre e tutto andrà a posto.
Ed ora mi prostro a baciarvi non uno ma i due Santi Piedi, che hanno camminato portati da un grande amore per la Madonna e chiedo per me, per la mia famiglia che ha sofferto umiliazioni e calunnie per la Madonna per quanti mi hanno voluto e mi vogliono bene unico conforto della mia vita tanto provata, ma che sono stati travolti nella mia causa e nel mio dolore, per la nostra terra di Bergamo e per il mio paesino così prediletti dalla Madonna, la vostra grande Paterna Benedizione Apostolica.

===================================================

4) IL CARTEGGIO RIFERITO ALLA LETTERA DI ADELAIDE AL PAPA
DEL 13 MAGGIO 1960

a) IL COMMENTO INTRODUTTIVO DEL PROF. ALBERTO LOMBARDONI.

Don Marino Bertocchi, parroco di Sotto il Monte, ha pubblicato, dando grande risalto sul numero di gennaio/ febbraio 2006, della rivista “Amici del beato Papa Giovanni”, il carteggio riferito alla lettera di Adelaide al Papa (3 fogli manoscritti di Adelaide, 2 buste e la lettera accompagnatoria del card. Gustavo Testa), mentre sul “Giornale di Merate”, il 31 gennaio 2006, ha fatto pubblicare solo le 3 pagine della lettera manoscritta di Adelaide (non le buste e la lettera del card. G. Testa). Una di quelle buste porta però l’inquietante annotazione autografa interrogativa del Papa: “Scritta da lei?” che mette in discussione l’autenticità di quella lettera.

Il documento (composto da 3 fogli), datato 13 maggio 1960, fu inviato da don Piccardi, parroco della chiesa del Carmine di Bergamo, al vescovo di Faenza mons. Battaglia che, a sua volta, lo consegnò al card. Gustavo Testa. L’alto prelato la inviò per posta, da Roma, a mons. Loris Capovilla il 27 maggio 1960.

-------------------------------

b) LA PRIMA BUSTA

Riporta le seguenti scritte:

Mgr L. Capovilla
Anticamera pontificia
Città del Vaticano

Un francobollo timbrato “Roma – 21.22 – 27 - V - 1960”
Timbro delle Poste Vaticane del 28 - V - 60

Sulla busta vi è scritto a mano “Ghiaie” da Papa Giovanni.
Inoltre vi è in basso, il timbro e la seguente autenticazione di mons. Capovilla:
“Ghiaie”, scritto in facciata a sinistra, è di mano di Papa Giovanni.
LC

------------------------------

c) LA LETTERA ACCOMPAGNATORIA DEL CARD. GUSTAVO TESTA.


Roma 27.5.60

Revmo Monsignore,
il vescovo di Faenza Mons. Battaglia, mi prega di far avere nelle mani del Santo Padre l’acclusa lettera della ragazza Adelaide Roncalli, delle Ghiaie.
Ciò che faccio con la presente lettera.
Non so chi sia il padre spirituale della ragazza, se è il Padre conventuale Bonaventura M. Raschi di Genova (l’autore di “Questa è Bonate”). Dissi già al S. Padre che sarebbe opportuno prendere larghe informazioni su di lui, per conoscere quale ascendente abbia sulla Adelaide. Il parroco del Carmine, Don Piccardi di Bergamo, anche lui si interessa per l’Adelaide e mandò a Mons. Battaglia la lettera qui unita: mi si dice che Don Piccardi è un ottimo sacerdote.
E con molti saluti cordiali.
Devmo
G c Testa

------------------------------

d) LA SECONDA BUSTA CON L’IMPORTANTE ANNOTAZIONE
INTERROGATIVA DEL PAPA

Sulla seconda busta che riporta il timbro di mons. Capovilla, Papa Giovanni ha scritto di suo pugno la frase interrogativa “SCRITTA DA LEI?” che mette molto in discussione l’autenticità della lettera di Adelaide, consegnata dal card. G Testa, che riporterò al punto seguente.

La busta quindi porta le seguenti annotazioni di Papa Giovanni:

“Caso delle Ghiaie di Bonate
Lettera di Adelaide Roncalli
13 maggio 1960 [SCRITTA DA LEI?]
Lettera del Card. G. Testa
firma 27 maggio 1960”

In fianco l’autentica di mons. Capovilla “Busta manoscritta di Giovanni XXIII”.
+ Loris Capovilla

-----------------------------------------

e) IL TESTO DELLA LETTERA DEL 13 MAGGIO 1960 DI ADELAIDE RONCALLI
AL PAPA

(Pur essendo un documento originale manoscritto e firmato da Adelaide, che grado di credibilità ha questa lettera, anche se autografa, pubblicata da don Marino Bertocchi, se persino Papa Giovanni ha messo in dubbio l’autenticità del documento apponendo di suo pugno sulla busta l’inquietante interrogativo: “SCRITTA DA LEI?”)



“13.5.1960

Santità,
sono trascorsi ormai sedici anni da quei giorni benedetti in cui apparve la Sacra famiglia e, specialmente, la Madonna.
Ho avuto, e continuo, il mio calvario per le avversità contro queste apparizioni di Ghiaie di Bonate, ma dentro il mio cuore vive solo un ardente desiderio, che le apparizioni di Ghiaie di Bonate portino il loro frutto dovuto.
Ma io sono una povera figliola, non ho nessuna capacità, e temo anzi sempre di guastare tutto, anzi che fare bene. Per questo, finisce che tutto è un dolore per me, e di questo ne è testimone il Signore, quanto sia vero.
Perciò santità Reverendissima, il pensiero di poter arrivare al Vostro Cuore Paterno, mi sbalordisce, ma la mia voce non conta nulla, ma bensì il desiderio del cuore di una Vostra umilissima figlia per il bene della verità e a gloria del Cielo.
Ora non mi resta che pregare perché dalla Vostra Paterna Bontà ne venga la sospirata disposizione perché si cominci ad avere un po’ di culto sul luogo benedetto, questa è la grazia che imploro con tutta l’anima.
Per me non chiedo nulla, sono ormai abituata, per grazia di Dio, a vivere la Santa Volontà del Signore, ed attendo fiduciosa l’ora del Paradiso.
Se per la bontà Vostra dovessi essere chiamata in udienza, sarebbe mio desiderio essere accompagnata dal Molto Reverendo mio Padre Spirituale al quale ho consegnato i Divini Messaggi della Madonna.
Prostrata ai piedi della Santità Vostra domando umilmente l’Apostolica Benedizione.
Umilissima e indegna figlia
Adelaide Roncalli

Ghiaie di Bonate 13 Maggio 1960”

==========================================================

f) L’ARTICOLO DI DON MARINO BERTOCCHI PUBBLICATO DALLA RIVISTA
“AMICI DEL BEATO PAPA GIOVANNI” N. 1 GENNAIO/FEBBRAIO 2006.

Ghiaie, è questa la vera lettera che ha scritto Adelaide al Papa.
La scoperta mette in discussione quella pubblicata nel giugno 2002.

Nel mio ultimo articolo dedicato all'evento Ghiaie, ho riportato il seguente brano di una lettera presentata come di Adelaide Roncalli a Papa Giovanni: “Voi che potete fare tutto, fate rivedere la storia delle apparizioni di Ghiaie di Bonate, ve lo chiedo per la Madonna. Voi solo potete fare questo. Forse è stata la Madonna a volervi Papa perché dalla terra di Bergamo possiate rivendicare la sua apparizione nella Bergamasca".
Aggiungo subito che invece queste parole Papa Giovanni non le ha mai lette, perché una lettera con tale richiesta a lui non è mai pervenuta.
Adelaide l'ha almeno scritta? L’interrogativo si impone.
Da un appunto di monsignor Capovilla sapevo che Adelaide aveva scritto al Papa e questo appunto mi portò a superare la mia diffidenza circa l'autenticità della lettera di Adelaide, che venne pubblicata su "Bergamo Sette" il 7 giugno 2002.
Mi restava il dubbio che fosse di suo pugno, attesi il tono e la lunghezza del testo e l’ho espresso anche nell’articolo.
Ma successivamente alla pubblicazione dell’articolo, monsignor Capovilla gentilmente mi ha fornito altri pezzi del suo dossier Ghiaie, tra cui la fotocopia della vera lettera di Adelaide al Santo Padre.
Scritta il 13 maggio 1960, è stata consegnata da monsignor Battaglia al cardinale Testa, che per posta l'ha spedita a monsignor Capovilla, accompagnandola con la lettera che pubblichiamo in queste pagine.

La lettera autografa è pervenuta a Papa Giovanni, che ha fatto di suo pugno le annotazioni autenticate da monsignor Capovilla. Da notare il punto di domanda autografo del Papa: “scritta da lei?” Prima di conoscere l'autografo di Adelaide ritenevo che la sua lettera al Papa fosse quella pubblicata nel 2002. Giuseppe Arnaboldi Riva, autore di una storia delle apparizioni, l'ha presentata allora sul giornale come custodita in una casa di Bergamo, sede di un gruppo di preghiera, definendola “storia del suo doloroso martirio, autentica confessione della verità, ultimo appello affidato a Papa Giovanni”.
Il testo autentico di Adelaide, che riproduciamo, mette ovviamente in discussione tutti gli elementi della definizione riportata. Il lungo testo considerato autentico, e pubblicato nel 2002, viene presentato anche nel sito internet www.madonnadighiaie.it, preceduto da un'introduzione che dice tra l'altro:
"Monsignor Capovilla ha assicurato l'autenticità del contenuto. La lettera è stata consegnata a mano dal cardinale Testa".
Le foto che pubblichiamo fanno cadere entrambe le affermazioni. Ancora nei mesi scorsi la lettera è stata letta a Radiomaria da parte di Angelo Tentori, autore anche lui di una storia delle apparizioni. Gli interrogativi che sorgono nel leggere questa lettera sono parecchi, forse in parte già presenti al momento della pubblicazione se il giornale si è espresso al condizionale. Ancora di più sono gli interrogativi che sorgono se si confrontano i contenuti e il tono delle due lettere.
La prima esigenza che si impone a questo punto è quella di essere con sicurezza informati, se possibile, sulla natura e la storia del documento pubblicato nel 2002. Per questo attendiamo qualche chiarimento dalla direzione di Bergamo Sette.
Don Marino Bertocchi

5) IL PARERE DEL PROF. ALBERTO LOMBARDONI SULLA LETTERA E SULLE MINUTE

La lettera del 13 maggio 1960, pubblicata da don Bertocchi, pur essendo un documento autografo, perde adesso gran parte del suo valore. Quella calligrafia così perfetta e quelle espressioni di stile curiale così lontane dalle inflessioni dialettali proprie del lessico di Adelaide, non mi convincono del tutto, come non devono aver convinto Papa Giovanni che scrisse sulla busta la seguente annotazione autografa interrogativa: “Scritta da lei?”, mettendo in dubbio lo stile e il contenuto della lettera di Adelaide.
La lettera ufficiale del 13 maggio 1960, pubblicata da don Marino Bertocchi riporta “Ghiaie di Bonate 13 Maggio 1960” come luogo, mentre le bozze rinvenute portano invece come luogo “Milano”.

In quella lettera, Adelaide dichiara che ha avuto e continua ad avere il suo “calvario, per le avversità contro queste apparizioni di Ghiaie”. Affermazione molto importante che fa comunque capire quanto la veggente ha sofferto e quanto soffre ancora per le violenze e i soprusi subiti. I documenti già di dominio pubblico lo provano ampiamente.

Nella lettera ufficiale del 13 maggio 1960 Adelaide scrive che “sono trascorsi oramai sedici anni da quei giorni benedetti” (1944 + 16 = 1960), mentre nel testo delle bozze si legge che “sono quindici anni che la gente ci va, ma c’è anche la proibizione” (1944 + 15 = 1959). Quindi due lettere in due periodi diversi.

Nella lettera del 13 maggio 1960, Adelaide spera ancora di essere chiamata in udienza dal Papa, ma sappiamo benissimo che Adelaide Roncalli non sarà mai ricevuta da Papa Giovanni XXIII perché “qualcuno” impedì che avvenisse quell’incontro.

Vorrei chiedere a don Marino Bertocchi e all’articolista che scrisse che Adelaide “non venne mai perseguitata” se hanno letto la lettera riservata di Papa Giovanni sul caso Ghiaie indirizzata a mons. Battaglia, dell’08 luglio 1960, e che significato hanno le seguenti parole del Papa:
“Ciò che vale in "subiecta materia" è la testimonianza della veggente: e la fondatezza di quanto ancora asserisce a 21 anni ed in conformità alla sua prima asserzione a 7 anni: e ritirata in seguito alle minacce, alle paure dell'inferno fattele da qualcuno. Mi pare che insista quel terrore di quelle minacce.”

Se effettivamente Adelaide “non venne mai perseguitata”, perché Papa Giovanni scrisse allora quelle frasi che pesano come un macigno sull’Affare Ghiaie?
Perché non si è tenuto conto dell’esplicito parere del Papa?
A quale testimonianza di Adelaide si riferisce veramente il pontefice?
Non di certo a quella “pilotata” ed “epurata” della lettera ufficiale del 13 maggio 1960, rispolverata dagli archivi da mons. Capovilla, perché non fa nessun riferimento “alle minacce, alle paure dell'inferno fattele da qualcuno”. Senza dubbio il Papa si riferisce ad altra documentazione o testimonianza ben più scottante in suo possesso che racconta proprio il calvario di quella fanciulla.

Perché il Papa non fu ascoltato?
Perché qualcuno tentò di ostacolare la pubblicazione della lettera riservata di Papa Giovanni a mons. Battaglia, dell’08 luglio 1960, affermando che se il Papa avesse cambiato parere (in modo positivo per Ghiaie s’intende) “l’avvocato del diavolo avrebbe materia per la causa di beatificazione” (cfr art. del 20/02/1977 di don Antonio Pesenti, su “La domenica del Popolo”?
La lettera del Papa fu pubblicata e la causa andò avanti lo stesso!

Che responsabilità pesa su coloro che da oltre sessant’anni vanno intralciato la ricerca della verità e vogliono imbavagliare la Madonna delle Ghiaie, la Regina della famiglia.

Nel corposo carteggio dell’Affare Ghiaie c’è ben altro, da esaminare e da discutere. La lista delle malefatte è lunghissima e, se è vero quanto Adelaide ha affermato subito dopo l’ascolto della tavola rotonda del 30 novembre 2004, nella quale avevo letto il contenute delle minute (del 1959), che quanto era stato detto, era tutto vero ma rappresentava soltanto una parte di quello che le avevano fatto subire, allora significa che ci sono ancora tanti scheletri da far uscire dagli armadi. Forza, mettiamoci all’opera.

==============================================

6) LA RISPOSTA DELLO SCRITTORE GIUSEPPE ARNABOLDI RIVA SULLA LETTERA E LE MINUTE

La firma in calce a un documento non garantisce che il suo contenuto corrisponda al pensiero e alla volontà di chi lo ha sottoscritto. Può accadere, come nell’episodio della confessione estorta ad Adelaide dall’inquisitore don Cortesi, che proprio la firma, non solo non attesti la non autenticità di un documento, ma costituisca la prova di una grave violenza. Come si sa infatti, la confessione strappata ad Adelaide è frutto di una dettatura imposta dopo continuati maltrattamenti su di lei: “don Cortesi dettava e io scrivevo” ha rivelato Adelaide ricordando quel tristissimo confronto con l’inquisitore.
Prima di vantare l’autenticità di un documento occorrerebbe perciò considerare bene, oltre la firma, tutte le condizioni nelle quali quel documento è stato redatto.

Attenzione del tutto estranea a mons. Bertocchi, incapace di vedere nella lettera di Adelaide a Papa Giovanni sbandierata come autentica, un evidente condizionamento, immediatamente manifesto nello stile curiale di alcune espressioni : “il pensiero di arrivare al vostro cuore paterno mi sbalordisce…dalla vostra paterna bontà ne venga la sospirata disposizione perché si cominci ad avere un po’ di culto sul luogo benedetto…se per la bontà vostra dovessi essere chiamata in udienza sarebbe mio desiderio essere accompagnata dal molto reverendo mio padre spirituale al quale ho consegnato i divini messaggi della Madonna… Umilissima e indegna figlia”.

Se poi confrontiamo questa lettera (ritrovata nell’archivio di mons. Capovilla) con la bozza manoscritta e dattiloscritta di una precedente lettera a Papa Giovanni (ritrovata nell’abitazione di una nobildonna...), nella quale si riconoscono evidenti inflessioni dialettali bergamasche proprie del lessico di Adelaide, possiamo iniziare a capire la ragione di questo condizionamento.
Mentre la bozza, scritta presumibilmente un anno prima della lettera, rivela proprio nello stile e nel contenuto, la totale libertà d’animo nella quale Adelaide l’ha composta, e l’assenza di influenze di ambienti clericali (che Papa Giovanni deve aver subito riconosciuto), la lettera, invece, non a caso scaturita dall’ambiente curiale, rivela il chiaro tentativo di tentar di presentare al Papa le apparizioni di Ghiaie e la veggente in modo farisaico. Ovvero: il tentativo di limitare il valore delle apparizioni e tacere il terribile martirio inferto ad Adelaide da uomini e donne della Chiesa Cattolica. In primis don Cortesi.
Per questo, la lettera in questione (quella ufficiale del 13 maggio 1960), firmata da Adelaide, ma ideata in ambienti clericali sia pur apparentemente “favorevoli” alle apparizioni, non solo non è autentica, ma dimostra in modo palese la permanente difficoltà di riconoscere l’errore grave commesso da ecclesiastici che hanno usato mezzi violenti contro una bambina approfittando della sua debolezza e della sua povertà, per affermare il primato assoluto della gerarchia. Come se la Chiesa, che aspira a unire nell’Amore, potesse conservare ancora metodi machiavellici di Cesare.


7) COMMENTO DELLO SCRITTORE GIUSEPPE ARNABOLDI RIVA IN SEGUITO ALL’AFFERMAZIONE DELL’ARTICOLISTA CHE ADELAIDE “MON VENNE MAI PERSEGUITATA”

In risposta all’articolo parso sul Giornale di Merate del 31 gennaio 2006 riferito alla lettera di Adelaide del 13 maggio 1960 che don Marino Bertocchi ha avuto da mons. Capovilla, articolo con il sottotitolo “Non venne mai perseguita”, di seguito la risposta dello scrittore Giuseppe Arnaboldi Riva, spedita al Giornale, che contesta tale vergognosa e non veritiera affermazione. Il testo non è stato pubblicato.

“Dopo la pubblicazione del mio libro, Adelaide speranza e perdono, e i numerosi articoli sulle inaudite violenze subite dalla veggente di Ghiaie per opera di membri della Chiesa, speravo che la gerarchia ecclesiastica (bergamasca e romana) smentisse o confermasse quanto ho scritto, dal momento che il mio lavoro, oltre ad affermare la verità delle apparizioni di Ghiaie, rivela comportamenti tanto disumani nei confronti di Adelaide da far inorridire anche il più incallito delinquente.
Invece, dimenticando questa gravissima responsabilità clericale, ecco che monsignor Capovilla estrae dal proprio archivio un documento, una lettera di Adelaide a Papa Giovanni, per far credere che la veggente di Ghiaie ha chiesto un’udienza con Papa Giovanni XXIII senza aver mai subito prima alcuna persecuzione da parte di membri della Chiesa. (Un’udienza che, come monsignor Capovilla sa molto bene, è stata negata ad Adelaide proprio per impedirle di comunicare al Santo Padre il proprio dolore.)
Ecco dunque, che dopo 62 anni dalle apparizioni di Ghiaie, trascurando la tristissima storia di Adelaide, altri membri del clero ripetono lo stesso nauseante tentativo di “far parlare” Adelaide contro se stessa e contro la verità, a vantaggio di una strapotente gerarchia che dovrebbe invece essere messa di fronte alle proprie gravissime responsabilità.
Ecco ripetersi, sotto altre forme, la stessa operazione menzognera iniziata dall’inquisitore monsignor Luigi Cortesi che per primo è andato agitando sotto il naso dei membri della Curia bergamasca una lettera scritta dalla piccola Adelaide contro se stessa, dopo avergliela strappata con l’inganno e la violenza, abusando dell’autorità sacerdotale.
Un atto protervo compiuto su una bimba di sette anni, ripetuto alcuni mesi più tardi da un altro sacerdote, monsignor Merati, canonico della Cattedrale e Presidente del Tribunale dell’Inquisizione bergamasca, che, in una seduta di questo Tribunale, ha piegato alla propria volontà la piccola veggente lasciata totalmente sola e indifesa; abusando anche lui della propria veste sacerdotale.

Perciò, a monsignor Capovilla e ai tanti membri della Chiesa che non trovano il coraggio di spalancare gli occhi sulla storia di Adelaide e tentano ancora di far parlare Adelaide contro se stessa, vorrei proporre riflettessero almeno una volta sul silenzio di Adelaide - un silenzio tanto amaro e tanto diverso da quello gioioso che avrebbe voluto la Madonna per lei, nel sacro convento - e riconoscessero proprio in questo suo silenzio crocifisso il grido della “piccola martire”.

Vorrei ascoltassero il suo dolore per il rifiuto e l’abbandono sofferto, allorquando, solo dopo pochi mesi di noviziato nel convento di Lodi, è stata svestita ed espulsa con violenza per decisione di membri della Curia di Bergamo e della Curia Romana. Rigettata dal luogo sacro come una reietta, e poi respinta ogni volta che ha bussato alla porta per rientrarvi, quel giorno Adelaide è stata allontanata definitivamente dalla Chiesa come un essere repellente, pericoloso; proprio come l’aveva bollata pubblicamente, fin dal principio e per sempre, il suo inquisitore monsignor Luigi Cortesi e con lui tutta la Curia bergamasca.

L’anima di Adelaide è “terribilmente complessa e anfrattuosa”. “Un nodo di vipere, uno scrigno chiuso custodito da sette draghi” aveva scritto monsignor Cortesi in una pubblicazione per i preti – che rimane tuttora documento infamante per la stessa Curia bergamasca – allarmando con il suo libro osceno tutta la Chiesa che sembrava essere pericolosamente minacciata da Adelaide: una creatura orribile capace di lordare ogni luogo sacro. Un essere destinato solo all’inferno e idoneo solo al matrimonio; sacramento abietto della massa secondo questo clero presuntuoso ed eretico.
Spogliata, ripudiata, disconosciuta, cacciata dal luogo consacrato, Adelaide si è chiusa allora nel silenzio. Un silenzio nel quale si può ancora ascoltare il suo lamento per i continui maltrattamenti, umiliazioni, violenze e denudamenti cui l’hanno costretta uomini e donne membri della Chiesa.
Denudamenti iniziati subito. Da quando alcune suore sacramentine dell’oratorio di Ghiaie, istigate dall’inquisitore, già nei primi giorni delle apparizioni, hanno voluto toglierle il vestito nuovo regalatole da una signora di Milano, perché vedevano in quel vestito il demonio; un vestito troppo bello e ricco per lei rozza selvatica. Come accadde un mese più tardi, in modo ancor più grave nel convento di Gandino delle suore Orsoline, dove la piccola Adelaide è stata costretta a denudarsi davanti a due suore presenti insieme all’inquisitore, e mostrare le sue pudende, ovvero il suo organo genitale, al neuropsichiatra occultista Ferdinando Cazzamalli, condotto in quel luogo sacro dall’inquisitore per verificare direttamente che la sua verginità non fosse stata infranta dal padre ubriacone. Una visita medica illegale e impudica che avrebbe permesso allo stesso inquisitore di leggere in quella parte intima della bimba i caratteri di una sensualità demoniaca ereditata dalla sua povera famiglia, secondo gli insegnamenti della peggior fisionomia; disciplina da lui tanto accuratamente studiata.

Come accadrà ancora qualche anno più tardi, come ho ricordato, nel convento delle suore sacramentine di Lodi dove Adelaide sarà brutalmente spogliata dell’abito sacro di novizia, chiusa di notte in un gabinetto e poi fatta letteralmente sparire in un albergo romano delle stesse suore Sacramentine dove sarà ridotta, contro la propria volontà, a donna di servizio, a nullità, come aveva sancito, per tutti, l’inquisitore.

Documento vivente è dunque il SILENZIO di Adelaide nel quale echeggia ancora il suo grido di dolore, colmo delle violenze da lei subite, prima nei conventi delle suore orsoline, e più tardi nel convento bergamasco delle suore della Sapienza, dove la Curia di Bergamo manifestò il proprio volto tracotante istituendo, in questo stesso luogo di supplizio, un ignobile processo inquisitoriale contro di lei per sancire in pochi giorni la sua totale cancellazione dall’esistenza religiosa e la distruzione del suo Tesoro. Obbedienti alle volontà dell’inquisitore, che l’aveva bollata come “ingannata dal cupo genio del male”, appartenente cioè ad una genia maligna, ad una famiglia infernale, i giudici di quell’ignobile “sinedrio” hanno bollato per sempre Adelaide come una bugiarda indemoniata, un essere orripilante da bruciare insieme al Tesoro ricevuto dal Cielo.

Documento vivente è il SILENZIO di Adelaide; un silenzio chiuso nel suo “corpo” che porta ancora i segni delle brutali percosse, a suon di pugni e calci, affibbiatele dalle suore nei mesi della sua prigionia presso i conventi.

Documento vivente è il SILENZIO del suo animo nel quale si ritrovano ancora i segni delle umiliazioni, delle offese e dei terrori coi quali le suore e monsignor Cortesi l’hanno condotta sull’orlo della pazzia e dell’annientamento fisico. E nel quale echeggiano le sue grida di panico lanciate durante i frequenti incubi notturni quando si svegliava piena di terrore urlando nelle fredde stanze di quei conventi femminili tanto ostili: “vado all’inferno! vado all’inferno! vado all’inferno!”. Incubi tremendi, frutto del lavoro incessante delle suore e dell’inquisitore che senza posa hanno continuato quotidianamente, per lunghi mesi, ad instillar in lei, perfidamente, la paura di un grave peccato del tutto inesistente: aver detto cioè, che la Madre di Dio era apparsa nel cielo di Ghiaie, col Suo Bambino in braccio.

La mano di Adelaide trema ancora al pensiero della confessione strappatale con la violenza e l’inganno dopo mesi e mesi di ininterrotto orribile supplizio ad opera dell’inquisitore che, dopo averla sedotta con baci, abbracci, coccole, carezze, l’ha schiacciata in un abisso di terror panico con la paura dell’inferno, abusando del sacramento della confessione.

Documento vivente è il SILENZIO della persona di Adelaide sulla quale sono ancora impresse le ferite sanguinanti aperte dagli insulti vergognosi e diffamatori con i quali è stata dipinta come un orribile mostro; insulti che ognuno ancora può leggere sul libro dello stesso inquisitore “Il problema delle apparizioni di Ghiaie”:
“testarda, ottusa, irrequieta, esibizionista, vanitosa, abilissima nell’inganno, furbissima, allucinata, superbetta, traforella, conscia della sua astuzia, torva, monella, folletto, forsennata, insolente, precoce malizietta che conosce e insegna la bugia, si atteggia a diva, che ama acconciature singolari, gingilli d’ornamento, indumenti appariscenti e sgargianti, che brama approvazioni e nasconde la sua meschina vergogna, gonfia di boriuzza, scodinzola, sfringuella, gode di essere vezzeggiata, cerca i primi posti, si alza per sovrastare tutti, posa a fanciulla prodigio, smaniosa di distinguersi, spiritosa, loquace, sguaiata, infatuata di sé, sovraeccitata, sensuale, bramosa del frutto proibito…”.
Un vero campionario di ingiurie che, credo, nessun’altra persona abbia mai ricevuto, sulle quali spicca su tutte l’infamia di essere una creatura libidinosa: un’infamia che fin dall’inizio l’inquisitore le ha affibbiato definendola “ninfetta oreade”, figura della mitologia greca, personificazione di una creatura sensuale pronta ad amoreggiare con esseri depravati, una ragazza sessualmente precoce capace di suscitare forti desideri erotici specialmente in uomini maturi (questa ingiuria si trova nella prima pagina del libro scritto dall’inquisitore, “Il problema delle apparizioni di Ghiaie”, alla lettura del quale invito caldamente monsignor Capovilla, se non lo ha ancora fatto dopo 60 anni)

Documento vivente sono le labbra di Adelaide chiuse dalla prepotenza del clero che le ha impedito di narrare la bellezza del Cielo e spingere i peccatori alla conversione, al cammino di Unità nelle mani di Maria.
Documento vivente sono gli occhi di Adelaide nei quali non è più permesso riconoscere il riverbero di quella Luce di Gloria scesa su di lei per indicare all’umanità, lacerata dall’odio e dalla guerra, la via della Pace e dell’Amore.

Documento vivente sono le sue lacrime disperate che rigano ancora il suo dolce volto tanto amato dalla Madonna, per il furto del suo Tesoro.
Potrei continuare ancora per pagine e pagine, tanto penosa e atroce è la storia di Adelaide. Ma sarebbe inutile. In parte l’ho già fatto e non è servito a nulla.

Privi di luce, di amore e di sapienza, questi ecclesiastici continuano imperterriti ad evitare l’incontro con la verità, preferiscono anteporre le ragioni di una gerarchia dispotica, cieca e sorda a quelle del cuore. Hanno dimenticato che la Chiesa è Amore e che non può tollerare tanta infamia nel suo seno.

Questi ecclesiastici mostrano di ignorare che la nostra memoria è il Dio Vivente, nel Quale è conservata tutta la nostra storia, incancellabile, come quella di Adelaide.
Non sanno leggere sul volto di Adelaide il PERDONO a tutti i suoi persecutori. Neppure sanno vedere la SPERANZA che il grande faro di Ghiaie accende nel mondo per tutta la famiglia umana. E per loro, innanzitutto.

Anche, ovviamente, per monsignor Capovilla che vorrei rispondesse alla ormai nota domanda rivolta da Pio XII al delegato apostolico Angelo Roncalli in una breve visita di quest’ultimo in Vaticano il 28 dicembre 1944. “CHE COSA NE SA DELLE GHIAIE?” gli chiese Pio XII trasmettendo al futuro Papa bergamasco, in quei momenti drammatici segnati dalla guerra mondiale, la propria viva speranza per le apparizioni di Adelaide.
Se fosse stato adeguatamente informato, monsignor Roncalli avrebbe risposto che Adelaide era stata chiusa dentro luoghi ecclesiali e sottoposta a inaudite violenze da parte di membri della Curia bergamasca per demolire lei e le apparizioni.
Da allora la domanda di Pio XII al futuro Papa Giovanni, insieme a quella che Adelaide pose allo stesso Papa Giovanni XXIII quindici anni più tardi, “IO NON SO PERCHÉ FECERO QUESTO”, risuonano sempre più inquietanti nella Chiesa.

E dunque eccellenza, “Che cosa ne sa delle Ghiaie? E perché fecero questo ad Adelaide?” La Verità è lì, proprio davanti a lei.
==========================================================================================
Fonti consultate:
- Il problema delle apparizioni di Ghiaie, don Luigi Cortesi
- Adelaide speranza e perdono, G. Arnaboldi Riva
- Bergamo Sette, 07 giugno 2002
- Giornale di Merate, 31 gennaio, 20 e 28 febbraio 2006.
- Amici del beato Papa Giovanni, n. 1 e 2 - 2006
- Senapa, n. 4 2002, e altri articoli successivi – n. 2 2006.
- Il pungolo su Bonate, n. 1 gennaio 1978
- Corriere della sera, 16 settembre 1977
- Comunità di Ghiaie, settembre 2000
- La Domenica del Popolo, 20 febbraio 1977
- Giovanni XXIII, Lettere, 1958 - 1963
- Archivi delle Curie di Lodi, di Milano, dell’Università cattolica di Milano; Archivio Vaticano.
- Archivi privati di: don I. Duci, mons. Piccardi, mons. G. Battaglia, card. G. Testa, Ermenegilda Pol, Padre Raschi, C. Finazzi Falsetti, L. Colnago, G. Adelasio, R. Reich, Padre Candido, mons. L. Capovilla, E. Bertuetti, mons. Obert, mons. L. Cortesi, don A. Goggi, A. Lombardoni, G. Arnaboldi Riva, Padre Tentori, Padre Petazzi, A. Ballini, don C. Vitali, don Murachelli, don G. Bonanomi, mons. E. Bignamini, mons. T. Benedetti.
- Biblioteca civica Angelo Maj; Biblioteca del Seminario di Bergamo.
- Radio Maria: tavole rotonde del 30 novembre 2004 e 31 maggio 2005; trasmissione di Mariologia, del 03 marzo 2006.
- Archivi privati riservati
- Sito internet www.madonnadelleghiaie.it

Sito web:  - E-mail:  -
Allegato   Data inserimento:  13/05/1960